La Nuova Sardegna

Arminio racconta l’Italia che si spopola

di Giacomo Mameli
Arminio racconta l’Italia che si spopola

Lo scrittore irpino nell’isola ospite del festival “Éntula”

05 maggio 2016
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di Giacomo Mameli

Da Bisaccia, un paesino dell’Irpinia d’Oriente, prima di tuffarsi in un breve tour letterario in Sardegna Franco Arminio scrive: «Quando vado in Rai per un’intervista ho sempre la sensazione che da Roma si guardi al paese da cui provengo come fosse in un altro continente, eppure è a tre ore di pullman. Credo sia una forma di provincialismo miope». Poeta, scrittore, documentarista e “paesologo” come ama definirsi, Arminio è nell’isola per presentare il suo libro “Geografia commossa dell’Italia interna” (Bruno Mondadori, pagine 129, euro 14). Organizza l’associazione Lìberos per il festival itinerante “Éntula”. Martedì Arminio è stato a Bortigiadas e ieri a Neoneli. Oggi è a Iglesias.

In un mondo ubriaco di finanza lei torna ai fondamentali, alla geografia, parola cancellata dal vocabolario. I talk raccontano la città non la campagna, i grattacieli non il sottosuolo.

«Ho sempre amato la geografia. Da bambino leggevo lungamente l’atlante di mio fratello. Considero importante anche la geologia. Noi siamo tra la terra e il cielo ma forse bisogna considerare quello che c'è sotto la terra e oltre il cielo. Quanto ai talk, è veramente un panorama deprimente. Chi dovrebbe raccontare l'Italia in realtà racconta solo la parte in cui vive. Il resto viene osservato sempre un poco di fretta e solo in circostanze eccezionali. Ma un paese esiste anche quando non c'è il terremoto o un'alluvione o un omicidio particolarmente stimolante per il circuito mediatico. L'Italia è una nazione di paesi e di montagne che ha dato le spalle ai paesi e alle montagne».

Giuseppe Infantino è «un eroe inconsapevole, racconta con misura, senza vanità e senza lamenti». Un antieroe?

«Era un uomo straordinario. Se avessi saputo del suo decesso sarei andato al suo funerale. A me capita di incontrare più i paesi che le persone, ma a volte trovo persone che mi colpiscono. Possiamo chiamarli eroi della vita ordinaria. Persone che non sono famose e che a me sembrano avere tutto per meritare una grande fama. Gli ascensori della notorietà sono guasti. Troppo spesso salgono all'attenzione tanti personaggi mediocri. Il meglio resta sul fondo. E forse è meglio così. Quando si è noti, ci si preoccupa più di farsi vedere che di vedere».

Funerali di Stato per esibirsi. Perché non c’era nessuno al funerale del suo mite eroe Sellino?

«Elio Sellino si occupava di libri e i libri non interessano quasi a nessuno. Se fosse stato il presidente della squadra di calcio sarebbe stata tutta un'altra storia. Poi Elio Sellino era irpino e io credo che l’Irpinia sia la terra dell’ingratitudine. A salvarsi sono solamente i politici più potenti. Ma la gratitudine di cui sono investiti dura fino a quando hanno potere. Poi finisce anche per loro».

Che cos’è la paesologia che denuncia l'imbroglio della modernità? Negli anni di twitter si può aver nostalgia dell’antico borgo mercatale?

«Non sono uno scienziato sociale. La mia critica alla modernità è prima di tutto emotiva. Potrei dire che la modernità mi sta antipatica. Questo non significa che sono un nostalgico del mondo contadino. E comunque la nostalgia è un sentimento che ha una sua nobiltà. La questione importante mi pare capire quanto la modernità abbia alterato il metabolismo dei piccoli borghi. Qui forse bisognerebbe rispondere caso per caso. Tendo a pensare che in molti casi la modernità abbia fatto dei danni e abbia creato dei benefici superficiali. Nel profondo quello che c’era in qualche modo è ancora vivo, va solo rimesso in moto, ovviamente in forma nuova. La paesologia da questo punto di vista è più una sagra del futuro che una festa tradizionale. Per fare due esempi: il festival che facciamo ad Aliano prima non c’era. La casa della paesologia a Trevico è una cosa radicalmente nuova, per Trevico e per il resto del mondo. Si può attribuire più o meno importanza a quello che vado facendo, ma è sicuramente una storia originale, che non aveva mai fatto nessuno».

Perché nessuno - o pochissimi - vanno a vedere i Sud dei quali parla nel suo libro? Solo perché il Sud non fa audience?

«C’è anche un fatto demografico. Ci sono pochi lettori e pochi elettori in quei luoghi. Dunque interessano poco ai politici e anche ai giornalisti».

L’Italia interna c'è al Sud e al Nord e per lei, trovarla è come rivedere la farfalla del giorno prima.

«È sicuramente ogni volta un’emozione. Ogni volta è una piccola storia d’amore. L’incontro con i luoghi è come l'incontro con un corpo. E bisogna far presto, perché i luoghi, come i corpi, non sono eterni. Un paese che vediamo oggi non è lo stesso paese che potremo vedere fra vent’anni. Bisogna sviluppare tra i giovani molto di più un’attitudine percettiva. Andare a vedere un luogo è sempre un bel gesto».

Il Sud si spopola. Fra vent’anni la Sardegna perderà 350 mila abitanti. Ci salveranno gli immigrati?

«Gli immigrati non sono un fatto contingente. Dobbiamo abituarci a pensare che il mondo è piccolo e noi siamo tanti. Quindi anche nei posti sperduti possono arrivare nuove persone. C’è anche l’elemento climatico. Con l’innalzamento delle temperature le zone montuose sono decisamente destinate a ravvivarsi, lì si può vivere meglio. Non conosco bene la situazione sarda, ma non sarei pessimista. È uno dei posti più belli del mondo. E poi non sono i sardi a essere pochi, ma gli altri a essere troppi. Sicuramente bisogna fare politiche per arrestare il calo demografico. Sono impegnato in un progetto del genere in Lucania: fa parte della strategia nazionale delle aree interne. C’è un'area pilota anche tra i nuraghi. La Sardegna ha bisogno del resto del mondo, ma anche il resto del mondo ha bisogno della Sardegna e dei suoi paesi».

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