La Nuova Sardegna

Sui monti del Gennargentu un grande tesoro “verde”

di Giacomo Mameli
Sui monti del Gennargentu un grande tesoro “verde”

Punta La Marmora, quota 1834: sul tetto della Sardegna la Festa della peonia Un patrimonio naturalistico che ha anche eccezionali potenzialità economiche

04 maggio 2016
4 MINUTI DI LETTURA





DESULO. È un viaggio nel tempo che fu, 500 milioni di anni fa, quando anche il tetto della Sardegna era immerso nel mare dell’era paleozoica. «Il mare a Punta La Marmora, quota 1834?», domandano increduli i gitanti giunti da Sassari, dall’Ogliastra e dalla Barbagia per la “Festa della peonia” in omaggio alla rosa delle montagne, quella dai petali vellutati, colorati dal bianco al rosso porpora. Il geologo Antonio Ulzega (Università di Cagliari) conferma: «Il fondo marino di ieri è proprio la montagna che stiamo calpestando oggi, con le sue sedimentazioni. È diventato terra emersa, come le Alpi». Un supercurioso insiste: «Anche questa catena poteva essere alta come il Monte Bianco?». Quando Ulzega dice di sì c’è chi si rende conto del fascino, del mistero di questa montagna sarda incantata chiamata Porta d’Argento. Tutti si sentono protagonisti di un evento. Anche chi si accoda e si infiltra nel gruppo. «Sono orgogliosa d'esserci», dice Gianna Calzetti, psicologa in compagnia del marito Andrea commercialista giunti da Verona per una gita fra i nuraghi «senza orde di turisti estivi».

Una gita nei territori confinanti con Arzana e Villagrande voluta – costo zero – dal Comune di Desulo, da aficionados del trekking e dalle università sarde. Il sole fa capoccella, il termometro sui cellulari segna quattro gradi, il vento – scriveva Peppino Fiori – soffia come la pioggia ad aghi gelati. Quattrocento metri a piedi a “Su filariu”, ecco un mare di peonie, fotocamere impazzite, riprese video, con WhatsApp tutti inviano ad amici e amiche del cuore le immagini dei monti e dei costoni verso Fonni. Tutt’attorno l'Eden di queste rose senza spine sui pendii del grattacielo della Sardegna. Agrifogli monumentali e tassi, ginestre dai fiori gialli e il profumo del timo. Osano ancora le aquile reali e le poiane, appaiono in volo mentre i turisti ascoltano “Le quattro stagioni” di Vivaldi eseguite in una baita con caminetti accesi.

La gita del Primo Maggio scatta alle dieci del mattino. Tutti incantati dalla natura, caprette e mucche che brucano, terra smossa dal grugno dei cinghiali, le foglie della Digitale, sullo sfondo le acque blu di Gusana, la cacca di mufloni e mufle, purtroppo anche maiali al pascolo brado. In questo territorio – che ha ispirato poeti e romanzieri – ci sono altri scienziati che spiegano il terreno calpestato. Il pedologo Angelo Aru parla di paesaggio e suolo, degli interventi «spesso inopportuni dell'uomo». Il botanico Ignazio Camarda, che da queste parti è nato e che ha nel cuore Gonàre e Bruncu Spina, tiene la scena. Racconta per piante e arbusti le stesse mirabilia di Ulzega per scisti e graniti, filladi e quarzi. Camarda parla di un tal piemontese Michele Alberto Plazza che dal 1748 al 1791 fu primo esploratore della flora sarda, di altri due torinesi – Giuseppe Moris e Alberto Ferrero della Marmora – che salgono in cima al Gennargentu nel maggio 1823. E poi altri nomi di stranieri che avevano capito il valore di questo angolo di paradiso: il francese Marcel Greyffier nel 1825, il tedesco Otto Reinhardt, l’inglese John Forsyth-Major, le cui raccolte sono conservate nell'Erbario centrale italiano di Firenze. «Sono stati i forestieri a valorizzare per primi le nostre eccellenze naturalistiche», commenta una insegnante di Ozieri.

Camarda elenca le specie endemiche sarde, raccoglie un cardo mictocefalo, nome scientifico Lamyropsis microcephala, qualcosa di simile c’è nelle montagne del Caucaso, mostra gli spinaci sardi («commestibili, e sono ottimi»), e poi il Thymus catharinae, Timo di Caterina con 84 cromosomi, diverso dal Thymus bivalens delle Baleari dai 28 cromosomi o dal Thymus herba-barona 56 cromosomi). Ecco la piantaggine di Sardegna, la Santolina insularis, lo zaffernano selvatico, abbondantissimo. Parla un altro botanico, Antonello Brunu, davanti ad agrifogli monumentali, tronco di due metri ricoperti da muschi e licheni. Quanti millenni hanno? Camarda: «Le piante hanno nomi al femminile, e l’età alle donne non si chiede. Ma possiamo dire che hanno centinaia di anni». Ancora Camarda indica, duecento metri più in basso, «i boschetti a galleria di ontano nero e salici».

Pranzo di buon livello. Ma tutto ciò potrebbe diventare risorsa economica? «Vorrei che il mio assessorato, all’Ambiente e all’Agricoltura, fosse il motore per la ripresa del paese», dice Francesco Gioi, 35 anni, prossima laurea in Scienze Forestali, allevatore di vacche col fratello Salvatore e il cugino Stefano. «Le potenzialità di sviluppo di una economia green sono tante ma le nostre competenze non sono adeguate. Non riusciamo a portare a reddito l’ambiente. Sono carenti le strutture ricettive, disponiamo di quattro Bed and Breakfast, l’hotel Alberto La Marmora è chiuso da anni, all’hotel Gennargentu funziona soltanto il ristorante». E il piano della montagna? «Quello è l'araba fenice: dove sia nessun lo sa. La politica blatera e il Gennargentu si spopola».

In Primo Piano
La polemica

Pro vita e aborto, nell’isola è allarme per le nuove norme

di Andrea Sin
Le nostre iniziative