La Nuova Sardegna

Daniele Silvestri, un acrobata di classe

di Roberto Sanna
Daniele Silvestri, un acrobata di classe

Il cantante romano a Cagliari e Sassari il 6 e 7 maggio

29 aprile 2016
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SASSARI. L’uomo col megafono è diventato acrobata. Vent’anni di carriera non sono trascorsi inutilmente per Daniele Silvestri, che dal giorno del Premio Tenco a Sanremo giovani per il miglior testo (“L’uomo col megafono” era il brano premiato) ha vissuto un percorso ragionato (appena nove album in ventidue anni) che lo ha portato proprio al disco della maturità, “Acrobati”, numero uno in classifica, che arriva dopo cinque anni dal precedente. Un disco che oltre a conquistare il cuore del pubblico ha strappato l’applauso universale della critica, concorde nel sottolineare che l’artista romano, che in agosto compirà 48 anni, sta vivendo un momento magico. Reduce dal grande tour con Max Gazzè e Niccolò Fabi, ha sfornato il suo capolavoro discografico e poi si è immerso nel tour “La voce del megafono” per i teatri di tutta l’Italia che, dopo essere partito il 27 febbraio da Foligno, farà tappa il 6 maggio a Cagliari nell’Auditorium del Conservatorio e il giorno successivo a Sassari al Teatro Comunale nell’anteprima del Festival Abbabula (in programma dal 12 al 15 maggio) per concludersi il 15 a Palermo.

Uno spettacolo che, manco a dirlo, ha entusiasmato il pubblico e lo stesso Silvestri: «Non sono mai stato contento di una tournée come in questa occasione – racconta –. I riscontri sono stati ottimi e sono orgoglioso di tutta la squadra che mi sta accompagnando. Ho una grande band e grandi tecnici, è il team dei miei sogni. Questa è la mia prima tournée nei teatri, nel senso che ovviamente mi ero già esibito in qualche teatro, ma questa volto porto in scena uno spettacolo concepito appositamente per quello che i teatri ti possono dare e il risultato, lo vedrete, è davvero sorprendente».

Era qualche anno che mancava l’appuntamento con i suoi fan dell’isola: che cosa dobbiamo aspettarci da questo suo ritorno in Sardegna?

«È vero, manco da qualche anno in Sardegna e non riuscire a venire da voi mi provocava sempre un bel po’ di dolore. Non solo perché è bello stare in Sardegna, è scontato, ma soprattutto perché ho sempre trovato una bella accoglienza e un grande ambiente tutte le volte che mi sono esibito. Mi sentivo in debito nei confronti dei sardi e finalmente sono riuscito a saldarlo, personalmente ci tenevo tantissimo».

E lo spettacolo?

«È passato un po’ di tempo, sono successe tante cose. Sicuramente chi verrà a vedermi troverà molto di quello che si aspetta, lo spettacolo è lungo e ponderoso, andremo indietro e avanti con un nuovo modo di stare sul palco. Questo perché sento come un dovere il fatto di non far passare gli anni invano. Diciamo che mi tolgo degli sfizi, mi lancio in cose nuove e cerco di sfruttare al meglio le potenzialità che il teatro può offrire. Ho costruito un percorso preciso e sorprendente e finora è andato tutto benissimo».

Il disco “Acrobati” è stato definito dalla critica la sua opera migliore. La pensa così anche lei?

«Forse è eccessivo, sicuramente ho capito da subito che era uno dei migliori. Diciamo che è il frutto di un periodo particolarmente entusiasmante ed entusiastico, frutto di tanti bellissimi incontri. Onestamente non me lo aspettavo nemmeno io e sono contento perché dopo vent’anni di carriera non è scontato, il rischio in questi casi è adagiarsi in quello che si è e si ha già fatto senza rischiare».

Quanto ha influito in tutto questo la collaborazione con Niccolò Fabi e Max Gazzè?

«Non c’è stato solo il tour, è stato un periodo bellissimo di due anni nel corso dei quali ci siamo ritrovati a fare delle cose sapendolo solo noi. Lavorare insieme ci ha consentito di mettere un punto sui nostri vent’anni di carriera celebrando una generazione, cosa che nessuno di noi, agendo da solo, sarebbe stato in grado di fare. Durante le fasi di scrittura abbiamo vissuto momenti anche imbarazzanti e altri emozionanti, perché in qualche modo ti devi mettere a nudo e ti esponi. Sicuramente ci ha insegnato qualcosa».

Lei è famoso per la costruzione dei testi: l’influenza di suo padre, autore televisivo e sceneggiatore, è stata importante?

«Il rapporto con mio padre ha influito tanto in uesto senso. Quand’ero piccolo mi parlava in rima, ci parlavamo a filastrocche o giocando con le parole. Mi piace costruire i testi in un certo modo, quasi come un gioco enigmistico e linguistico. Mi piace smontare il giocattolo delle parole e delle frasi, è sempre un modo per conoscere l’essere umano».

Una curiosità: lei è un grande tifoso della Roma, come vede la diatriba tra Francesco Totti e Luciano Spalletti e le polemche che la circondano?

«Mi sembrano polemiche eccessive e inutili. Una cosa sono la squadra e la partita come deve essere giocata, altro il rispetto che deve essere portato a una persona come Totti che ha scelto un’unica maglia. E non mi riferisco a Spalletti, quanto alla società che dovrebbe affrontare e discutere l’argomento per tempo. Non mi sembra sia successo e Spalletti si è trovato ad affrontare, da allenatore, questa situazione non definita. D’altra parte Francesco, che comunque è tornato in forma e si vede, non credo abbia pretese assurde. Ma come fai a rinunciare a un giocatore così, che ti dà qualcosa di importante e non serve certamente solo a vendere magliette?».

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