La Nuova Sardegna

La grande voce del Mediterraneo

di Gabriele Balloi
La grande voce del Mediterraneo

“Mare Nostrum II”, il concerto di Paolo Fresu a Cagliari Un trio davvero straordinario con Galliano e Lundgren

27 aprile 2016
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CAGLIARI. Meditazione mediterranea. Così avrebbe potuto intitolarsi il concerto intimistico, dai toni soffusi e sentimentali, che il trio Fresu, Galliano e Lundgren ha tenuto lunedì all'Auditorium del Conservatorio. Ma si è preferito il nome che gli antichi Romani diedero al Mediterraneo. Parliamo infatti di «Mare Nostrum II» (con sottotitolo «Il suono d'Europa»), secondo capitolo di un progetto iniziato nel 2007. Anche quest'anno con un omonimo cd (edito ancora dall'Act Music) seguito poi da un omonimo tour, avviatosi dal capoluogo sardo. Peraltro unica data nell'isola, organizzata da Sem (Spettacoli e Musica), che ha fatto quasi sold out.

L'ormai celeberrimo trombettista di Berchidda, Paolo Fresu, insieme al grandissimo fisarmonicista francese Richard Galliano e all'affermato pianista svedese Jan Lundgren imbastiscono, pure stavolta, un trasognato viaggio che si fa incontro di più istanze artistiche: métissage fra diverse tradizioni musicali; reinterpretazione di classici (Satie, Monteverdi); riflessione sul mare, come ponte fra culture o come teatro delle odierne tragedie legate al dramma dei migranti. Ma, su tutte, la voglia evidente di essenzialità compositiva, di ispirazione piegata a un melodismo più accessibile, pacato e malinconico, estremamente sobrio. Siamo di fronte ad un jazz introspettivo che, nella pratica, bandisce ogni sperimentazione e cerebralismo, virtuosismi e improvvisazione. La poetica scelta dai tre è, insomma, quella di una relativa semplicità, di una cifra stilistica che spolpa il linguaggio jazzistico lasciandone giusto l'ossatura, se non addirittura il midollo.

L'elemento marino poila fa da padrone. In brani come «Apnea», «Lili», «Aurore» o altri si respira proprio salsedine, vento, ci si sente cullati da ritmi ondivaghi, le note scorrono via facilmente come sabbia fra le dita. Alternando la formazione ora in trio ora in duo, e proponendo brani pure dal precedente album, veniamo accompagnati in atmosfere di autentica saudade, di raccoglimento e quiete, sfiorando a tratti persino il lirismo di un Bakalov. Fanno eccezione comunque taluni brani come «Leklat», composto da Jan Lundgren, che sembra rispolverare un'ironia gioiosa e ludica "à la Henry Mancini" (si pensi all'umorismo sottile di musiche come «Baby Elephant Walk» o al tema della «Pantera Rosa»). Oppure il grottesco e arguto «Chat pitre» (Gatto pagliaccio) di Galliano, pezzo che pare quasi uscito dall'«Opera da tre soldi» di Kurt Weill, ma con aggiunta una spruzzata di musica yiddish e un pizzico di Yann Tiersen.

Ovattata, limpida e delicata invece la variazione di Fresu sul tema di «Sì dolce è il tormento» di Claudio Monteverdi (1567-1643) con il quale ha deciso di suggellare il concerto. Aggiungendovi poi come bis – dedicato al cantautore piemontese Gianmaria Testa, recentemente scomparso – una rielaborazione in chiave jazz della famosa chanson «Que reste-t-il de nos amours» (Che cosa resta dei nostri amori) di Charles Trenet.

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