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Dinamo, intervista con Stipcevic: «Il mio Banco come un Rok»

di Andrea Sini
Dinamo, intervista con Stipcevic: «Il mio Banco come un Rok»

Il play croato racconta il momento magico suo e della sua squadra

01 febbraio 2017
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SASSARI. Una notte quasi insonne alle spalle, piazza d’Italia assolata davanti agli occhi e la prospettiva di due giorni di riposo per godersi un po’ la famiglia e ripartire ancora più forte. Rok Stipcevic dopo le partite non dorme mai: pieno di adrenalina sino alla punta dei capelli, nella sua mente rivede infinite volte il film della partita appena giocata. Stavolta, come spesso gli è accaduto quest’anno, è stata una partita da protagonista. Domenica sera il play croato ha trascinato la Dinamo al successo contro Reggio Emilia, con una grande prestazione sia a livello difensivo che offensivo. Per lui, che nel momento di crisi biancoblù è stato tra i giocatori più discussi, l’ultimo mese – con 8 vittorie in 9 gare e tante prestazioni di altissimo livello – ha rappresentato una rivincita mica male.

Com’è svegliarsi dopo una partita come questa?

«Pesante, perché avrò preso sonno alle 6, ma bello. Perché mia figlia oggi (ieri, ndr) compie un anno e perché ho il telefono pieno di messaggi di tifosi. Sono stanco, ma sono contento, e ringrazio queste persone per il sostegno».

Ma lei non era quello che palleggiava troppo e che non era adatto a questa squadra?

«So che alcuni la pensavano così e forse ora hanno cambiato idea. Questa cosa che palleggio troppo in realtà mi fa sorridere, perché è una caratteristica della scuola slava: da Dragic e Ukic, da Teodosic a Nedovic: se possibile facciamo un palleggio in più, piuttosto che uno in meno. L’importante è avere le idee chiare su cosa si sta facendo».

Quindi queste critiche non le hanno dato fastidio?

«Le critiche non fanno mai piacere ma bisogna accettarle. Una cosa è certa: per come sono fatto io, le critiche mi spingono a dare ancora di più. E poi in ogni città del mondo quando le cose vanno male è la stessa cosa: a Zara, nella mia città, mi considerano un dio, ma bastavano un paio di partite negative per venire fischiato. Fa parte del gioco».

Ovviamente le critiche durante l’autunno nero della Dinamo non erano soltanto per lei.

«Certo, ma io sono una persona tutta d’un pezzo, mio padre mi diceva sempre di essere un po’ più flessibile. Qualche settimana fa mi è capitato anche di rispondere a qualcuno del pubblico e non so se ho fatto bene: anche noi siamo umani, ma abbiamo il dovere di non perdere la testa. Ma è il mio carattere, difficilmente le persone sono indifferenti nei miei confronti: o mi amano o mi odiano».

In questo momento non c’è dubbio: il popolo biancoblù la adora.

«A me sembra che il pubblico adori questa squadra perché ha iniziato a capirne il carattere. Dico una cosa che può sembrare banale ma non lo è: questo è un grande gruppo, arrivi in palestra per l’allenamento e trovi i compagni con il sorriso, con il piacere di stare insieme. Questo non è scontato e rende le cose molto più facili».

Prima di Natale il clima però si stava facendo pesante.

«Non nello spogliatoio. Siamo sempre stati uniti, tra di noi e con la società, che ci ha sempre difesi e ci ha dato fiducia, come al coach. Questo è molto importante: e penso che ognuno di noi possa ancora migliorare».

Nel vostro spogliatoio si parlano tante lingue. Lei sembra avere un feeling particolare, oltre che con gli italiani, anche con Savanovic. Una squadra con un asse serbo-croato non è male.

«Con Dusko prima di quest’anno ci conoscevamo soltanto di vista, ma in campo è come se giocassimo insieme da sempre. È un giocatore straordinario, forte veramente. Parliamo molto tra noi, ma in realtà quando giochiamo non c’è bisogno: io so cosa pensa lui e lui sa cosa sto pensando io. Veniamo dalla stessa scuola cestistica, anche se io sono croato e lui è serbo. E su questa cosa scherziamo e ci becchiamo ogni giorno».

Entrambi avete dato molto alle rispettive nazionali.

«Io ho giocato con la nazionale croata sin dalle giovanili, poi sono arrivato nella squadra maggiore e in questi 8 anni ho avuto la fortuna di giocare europei, mondiali e olimpiadi».

Il ricordo di Rio de Janeiro è ancora fresco?

«Lo sarà per sempre, perché le Olimpiadi sono il massimo per un giocatore, non c’è niente che si possa paragonare a questa esperienza. Gli europei e i mondiali, in confronto, sono dei tornei normali».

Questa è la migliore stagione della sua carriera?

«Penso di sì, alla pari con una grande annata che ho fatto a Zara. Quando faccio questo ragionamento non penso alle cifre, piuttosto a come mi sento dentro la squadra, a come riesco – da play – a gestire il gruppo e a mettere in ritmo i compagni. Di domenica, per esempio, la cosa che mi ha dato più soddisfazione è stata riuscire a mettere in ritmo Lawal. Avete visto che schiacciata? Lui è uno che ci può dare tanto».

Dopo avere rimesso in piedi la stagione, si apre un mese molto importante per la vostra stagione.

«Abbiamo la Final Eight e puntiamo a superare il turno di Champions league, ma dobbiamo ragionare, come fatto sinora, una partita per volta: per questo ora ci interessa pensare soltanto alla partita con Brescia di domenica. Il resto arriverà».

Lei è tra i giocatori che frequentano di più la città. Non è raro incontrarla a passeggio per Sassari. È una dimensione che le piace?

«Assolutamente sì, ma soprattutto mi piace la gente. I sardi hanno un carattere e un orgoglio che non ho trovato da altre parti in tanti anni in Italia. Quando uno dice “sono sardo” capisco immediatamente che non è una frase vuota. Qui la gente apprezza le cose fatte col cuore e, una volta che ti accetta, poi ti da tutto».

Girano leggende sulla sua passione per la cucina.

«Mi piace mangiare bene, quando posso faccio qualche cena a tema con gli amici di qua. Ma la cosa incredibile è che ci sono tifosi che mi portano il cibo preparato da loro: è semplicemente fantastico, io adoro questa gente».

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