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Calcio femminile, Betty Secci la guerriera torna in campo a 54 anni

di Antonello Palmas
Le ragazze dell'Atletico Oristano
Le ragazze dell'Atletico Oristano

L’allenatrice dell’Oristano ha giocato un quarto d’ora a Novi, l’ex azzurra si racconta e denuncia il calo del pallone rosa

09 novembre 2016
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ORISTANO. Non è la prima volta che un allenatore in emergenza a causa dell’organico ridotto decide di scendere in campo di persona. Ma di solito accade quando il tecnico ha smesso di giocare da poco e non ha superato la quarantina. Ma Betty Secci, mister dell’Atletico Oristano (serie B femminile) di anni ne ha compiuti 54, eppure domenica a Novi Ligure non ha esitato a togliersi la tuta e gettarsi nella mischia. Non deve stupire, perchè la ex nazionale appartiene a una generazione di super-donne come non ce ne sono più.

«La partita era già andata – si schermisce la cagliaritana – , la Novese vinceva 3-0 e io avevo una panchina cortissima per diverse assenze, con un paio di giovanissime che non era il caso di utilizzare. Non c’era nulla da fare, pur con tutta la mia esperienza».

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In campo con i maschi. Piccola ma grintosa e tecnicamente validissima, la Secci non si è fatta trovare impreparata al temporaneo ritorno in campo: «Fisicamente sono a posto, da 7-8 anni gioco nei campionati amatoriali di Cagliari, con le squadre maschili, ora nell’over 50, e mi trovo perfettamente a mio agio – spiega –. Già l’anno scorso mi avevano proposto di allenare nel femminile, ma non ero convinta. Quest’anno ho accettato di provare, c’erano i presupposti per fare bene a Oristano. Giocare ancora? Preferisco seguire le ragazze dalla panchina».

Differenze. Betty fa i salti mortali per allenare l’Atletico, tre volte alla settimana parte da Cagliari alle 14.30 e fa tappa ad Assemini per proseguire insieme alle atlete del posto, di Iglesias e di Castiadas. «È molto pesante – confessa – si torna anche alle 21.30. E poi allenare le donne è più difficile, sono più toste a livello caratteriale». Secondo la Secci «è cambiato tanto da quando ero ragazzina io, allora dovevi stare zitta e pedalare, ora le calciatrici (non mi riferisco alle mie, ma in generale), pretendono tanto ma si impegnano il 2 per cento rispetto ad allora. Ora ci si allena tre volte, io lo facevo due volte al giorno per 5 giorni, più la partita. Una differenza che non riguarda solo lo sport».

Calcio rosa in crisi. Forse il livello tecnico e l'organizzazione del gioco del pallone rosa sono migliorate rispetto a una ventina di anni fa, ma la morìa di club e tesserate è impressionante e il movimento appare in agonia, soprattutto nell’isola. «Da quando giocavo io a oggi il panorama è peggiorato notevolmente – dice la Secci –. Ricordo periodi in cui c'erano 30-35 squadre solo in Sardegna, tra A, B e C, quest'ultima addirittura con due gironi e una dozzina di squadre ciascuno». Sembrava un movimento destinato a esplodere, e poi? «Ora c'è il vuoto totale, due squadre in B e tre in C... Molte ragazze sono passate al calcio a cinque: organici più facili da gestire, si gioca al coperto, minori costi e maggiori possibilità di ricavare qualche soldino».

Senza un campo. «Il fatto è che non ci sono più sponsor – dice l’allenatrice –. La Regione ti dà la prima tranche di contributi tra dicembre e gennaio, come si fa ad andare avanti? I biglietti con Ryanair li devi prenotare sei mesi prima se vuoi risparmiare, per fortuna la Tirrenia ci ha dato una mano con un accordo. Ma con queste politiche sono sparite tante squadre sarde, in tutti gli sport. Vergognoso». E a questo si aggiungono i problemi con le strutture: l’Atletico non ha un campo, al “Tharros” ci sono lavori e non credo che lo vedremo sino alla fine del campionato. Ci alleniamo a Torregrande su un campo di calcio a 7 e giochiamo ospiti dei paesi del circondario. E siamo una squadra di serie B nazionale...».

Gli anni con Maradona. La Secci ha giocato in diverse delle maggiori squadre italiane, quando l’Italia contava qualcosa nel calcio femminile. «Prevalentemente da centrocampista, anche se alla fine ho provato quasi tutti i ruoli, quando calci con entrambi i piedi prima o poi nelle emergenze ti chiedono di sacrificarti in altre zone del campo». Il ricordo più bello? I tre anni al Giugliano Campania, seconda metà degli anni 80, era come stare in un club maschile per l’organizzazione: preparazione in alta montagna, ritiri pre-partita, premi sostaziosi in caso di vittoria. C'era Maradona vicepresidente. Ora? Se riesci a recuperare i rimborsi spese sei fortunata».

L’Italia come il gambero. Caratterialmente si definisce «determinata, non cattiva, non sono mai stata espulsa, di solito ho preso colpi in silenzio. Ho sempre cercato di andare d'accordo con le compagne, ricambiata, a parte l’esperienza con la Torres, dove non fui accettata e me ne andai a metà della stagione successiva». Ma da quei tempi l’Italia rosa è l’unica a non essere cresciuta. «È vero. Nell'81 eravamo le numero 1 al mondo, ci hanno sorpassato tutti. Vincemmo il Mundialito in Giappone battendo 9-0 la nazionale di casa. Che di recente è diventata campione del mondo, mentre l'Italia è scomparsa. Battemmo Svezia, Germania, Danimarca, il meglio possibile. Provate a sfidarle ora». Che è successo: «Di fatto in Italia le donne non possono fare sport a livello professionistico. Sportivamente siamo il terzo mondo. E poi culturalmente c'è diffidenza verso lo sport al femminile. Ma attenzione: accade solo nel nostro Paese».

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