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Ciclismo, Fabio Aru vincitore della Vuelta dimenticato dalla Rai «calciofila»

Fabio Aru in maglia rossa alla Vuelta
Fabio Aru in maglia rossa alla Vuelta

Il trionfo del corridore sardo quasi ignorato nei programmi domenicali. La polemica sollevata in una lettera al professor Manlio Brigaglia, che rincara la dose: «Rassegnazione e dilettantismo»

16 settembre 2015
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Ma dov'è finita sulla Rai la favolosa vittoria di Fabio Aru alla Vuelta? Poco o niente è stato detto, nei programmi sportivi di domenica 13, su quella che è una delle grandi imprese dello sport sardo di tutti i tempi. Ma anche - e soprattutto, per il servizio pubblico televisivo del nostro paese - una delle gesta più significative di un atleta italiano nel 2015.

La polemica è garbatamente sollevata dal nostro lettore sassarese Sebastiano Fadda in una lettera a Manlio Brigaglia sull'edizione cartacea del quotidiano. Il Professore non soltanto gli dà ragione, ma rincara anche la dose.

  • La lettera di Sebastiano Fadda

L'altra notte mi apprestavo a vedere un gran bel servizio della Domenica sportiva sulla straordinaria vittoria del nostro Aru alla Vuelta come i titoli iniziali lasciavano ben intendere e intravedere; ma, poi, dopo il tennis, giustamente in primo piano per l'esaltante vittoria della Pennetta, dopo tanto e tanto calcio, dopo il basket, il motociclismo e altri sport minori … mi sono alla fine arreso e, per stanchezza, ho dovuto rinunciare.

Francamente non so neanche se il servizio sia stato poi trasmesso: ma come si fa a relegare a ultima e in coda un'impresa così significativa e importante e per giunta relativa a uno sport, il ciclismo, tanto seguito, amato e popolare?

La cosa sa di miopia, grettezza e autogol: non ho altre parole per esprimere la delusione nei confronti della nostra cara tivù pubblica.

  • La risposta di Manlio Brigaglia

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Tutto giusto. Non tanto (o, meglio, non solo) per il dispiacere di (non) aver visto il servizio tv su Aru illegittimamente confinato in coda a quel polpettone di chiacchiere che è ormai la Domenica sportiva (ah, i bei tempi di Alfredo Pigna e di Tito Stagno) e magari anche “saltato” per insufficienza di spazio - non lo si saprà mai, perché a quel punto il popolo degli interessati era metà scoraggiato e metà addormentato - quanto per l'ennesima dimostrazione del fatto che, tramontati i simpatici ma competenti dinosauri d'un tempo, tutta la programmazione sportiva della Rai sembra fatta più che all'insegna di un imbarazzante dilettantismo all'insegna della rassegnazione: perduti i diritti tv del calcio in diretta, i cronisti sembrano un popolo con la sindrome dell'esodo.

Segnalo, per chi non ci credesse, la puntigliosa precisione con cui ogni radiocronista descrive la divisa delle squadre in campo, compresi gli “inserti”, come li chiamano loro, che sarebbero le righe o le decorazioni sulle magliette e i mutandoni.

La trasformazione di programmi un tempo simpatici e ordinati come “Quelli del calcio” in autentici bailamme inascoltabili per eccesso e confusione di voci (ma che cosa fanno, a quell'ora della domenica, i tecnici audio e, prima ancora, i loto registi?) ne è un'ulteriore esemplificazione. Per non parlare della larghezza con cui vengono usate espressioni gergali e parolacce che perfino un poliziottesco americano ci rimetterebbe in numero e crudezza.

Così è ridotta Rai Sport oggi. Così, e perfino di più.

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