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Antonio Camboni, il primo patron di Fabio Aru: «Ho visto subito il talento»

Antonio Camboni con un giovanissimo Fabio Aru
Antonio Camboni con un giovanissimo Fabio Aru

Il dirigente ozierese ricorda l’incontro iniziale con il ragazzino di Villacidro: «Si presentò con una bici arrugginita, ma 4 pedalate mi bastarono per capire»

14 settembre 2015
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SASSARI. E’ una soddisfazione che aspettava da quasi dieci anni e ieri, domenica 13, quando ha visto Fabio Aru tagliare il traguardo della Vuelta con la maglia rossa sulle spalle non è riuscito a rimanere seduto in poltrona. Antonio Camboni, patron della Carrera Giorgione Ozieri, è stato il primo a intravedere nei polpacci del ragazzino di Villacidro i segni del campione. Il primo a credere in lui, il primo a lavorare per trasformare un diamante grezzo nel brillante che è oggi.

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«Ho sempre detto che Fabio aveva qualcosa in più degli altri - racconta - e i risultati di questi ultimi anni mi stanno dando ragione. Ero sicuro che sarebbe arrivato primo a Madrid. Conosco la sua grinta e ho studiato bene il percorso della Vuelta. Tre giorni fa ha provato a mettere in difficoltà Domoulin e sabato ha piazzato il colpo del ko. Sapeva che quella era la sua tappa ed è stato aiutato da una squadra che ha lavorato benissimo. Però per vincere la Vuelta bisogna essere campioni con la C maiuscola».

Antonio Camboni di fuoriclasse se ne intende se è vero che ha capito subito che Fabio aveva la stoffa giusta per fare strada. L'ha messo in bici e lo ha seguito, passo dopo passo, per 4 anni, consolandolo nei momenti di difficoltà e riportandolo coi piedi per terra dopo le prime, importanti, vittorie. Lui era un ragazzino innamorato della mountain bike.

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«Allora – racconta Camboni – avevo in squadra un altro ragazzo di Villacidro, Giancarlo Saiu, che era nazionale di bike e aveva vinto un sacco di gare. Ad agosto mi chiamò il padre per dirmi che c'era un quindicenne appena tesserato per una squadretta locale (la Piscina Irgas ndc) che riusciva a stare dietro al figlio. La domenica dovevamo fare una gara di cross country a Guspini e ho fissato un appuntamento con la famiglia Saiu e con gli Aru: babbo, mamma e Fabio. Lui si è presentato in tuta e con una bici tutta arrugginita. Io ho chiesto a Giancarlo di prestargli la sua e mi sono bastate quattro pedalate per capire di aver davanti un talento. L'ho fermato e gli ho promesso un posto in squadra».

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Camboni ha dovuto sudare per convincerlo a passare dal cross alla strada. «Sbatteva i piedi, diceva che non si divertiva e che la strada non era la sua specialità. Alla fine si è convinto e ha cominciato a bruciare le tappe. Nel 2007 gli hanno rubato il campionato sardo (e io ho rischiato la squalifica tanto mi sono adirato) l'anno dopo si è rifatto con gli interessi. Nel frattempo sono arrivate le prime soddisfazioni anche oltre Tirreno».

Nel 2009 Camboni convince la Palazzago a inserire la giovane promessa sarda nel suo team ed Ezio Tironi, presidente, della società bergamasca, centra il sei al Supernalotto. Fabio continua a crescere e mette in bacheca un secondo posto al Giro d'Italia dilettanti, un argento al campionato italiano juniores e tante, tantissime vittorie importanti. Il passaggio al professionismo è dell'altro ieri (il primo contratto è datato 2013), l'ingresso nell'elite internazionale delle due ruote è arrivato l’anno scorso al Giro.

«Fabietto ha tutte le carte le regola per continuare a vincere – pronostica Camboni –. Ha i mezzi fisici, ha grinta che ci vuole ed è un ragazzo con la testa sulle spalle. Credo che sia l'uomo giusto per rilanciare l'immagine del ciclismo italiano. E credo che abbia già cominciato a farlo. Erano anni che non vedevo tanta passione lungo le strade, tanto affetto per un ragazzo pulito e capace di sognare. Sapere che è partito da qui mi riempie davvero di orgoglio».(a.l.)

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