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Denis Marconato, un totem tra i Giganti

di Mario Carta
Denis Marconato
Denis Marconato

L’ultimo acquisto della Dinamo: «A 40 anni posso ancora dare tanto, e insegnare agli americani come si fa a vincere»

15 agosto 2015
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SASSARI. Nella Dinamo dei Giganti (quello di Monte’ Prama sulla maglia è un simbolo, non un marchio) e dei Candelieri (appena ricevuto quello d’oro speciale) ecco arrivare un Totem.

Denis Marconato nella sua lunga carriera ha vinto tutto. Nella squadra campione d’Italia arriva come dodicesimo e per ultimo in ordine di tempo, ma chi lo conosce scommette che non sarà ultimo in niente. Anzi. Firmato giovedì, il centro che ha fatto la fortuna di Treviso, Siena e tanti altri club anche europei, oltre che della Nazionale, sbarca a Sassari con la famiglia (moglie e due figlie, una di 2 anni e mezzo e l’altra di 12 anni) con le idee chiarissime, pronto a rendersi utile in campo e nello spogliatoio ma deciso anche a scoprirsi ricambiato da quella che ha scelto come sua nuova squadra.

Doveva essere Nika Metreveli, a chiudere il roster biancoblù 2015-2016, ma ci sono stati problemi di status, legati al fatto che non è più studente. Serviva un italiano ed ecco che arriva un grande italiano, un grande azzurro. Grande, soprattutto, per centimetri e muscoli. Oltre che per esperienza.

Con quale spirito comincia questa nuova avventura?

«Ho 40 anni, ho risposto con grande piacere alla chiamata. Arrivo nella squadra che l’anno scorso ha vinto tutto e che quest’anno giocherà l’Eurolega e so già che dovrò dare una mano ai giovani. Ma anche agli americani. A loro in particolare bisogna far capire come si gioca in Europa e cosa vuol dire vincere. In tanti arrivano qui pensando di saperlo già ma da imparare c’è tanto, e soprattutto bisogna imparare come lavorare duro per vincere».

Ha un curriculum da paura, tra scudetti e coppe, allori europei con i club e con la nazionale. Non si sarà stancato?

«Di vincere non ci si stanca mai ed è anche per questo che ho accettato Sassari: spero di vincere qualcosa anche quest’anno. Mi metterò subito al lavoro con i ragazzi per stimolarli, per fargli vedere sul campo che a 40 anni gioco ancora, che mi alleno forte e che per vincere bisogna mettercela tutta».

La Dinamo ha per ora perso il quarantenne Vanuzzo e ora trova un altro quarantenne. Da ragazzini siete stati compagni, lei e lo storico capitano della Dinamo.

«Vero, abbiamo giocato insieme un paio d’anni a Treviso nelle giovanili, poi lui è partito per Milano».

Scelte opposte questa estate. Vanuzzo lascia la squadra campione d’Italia per andare in serie B, a Udine, lei lascia Montichiari e la serie B per indossare la canottiera con lo scudetto tricolore.

«La scelta di Manuel un po’ mi ha stupito, ma capisco che volesse giocare ed essere ancora protagonista. In questi ultimi anni ha giocato poco però ha fatto un gran bel lavoro di squadra. Spero di riuscire a fare come lui, che quando entrava lasciava sempre il segno».

Conosce la Dinamo? E il gioco della Dinamo?

«Ho visto i playoff e la finale scudetto, ha un gioco molto veloce. Diciamo che non è proprio il mio gioco, ma ho visto anche le partite di Eurolega e forse lì riuscirò a dare qualche minuto importante sotto canestro per esperienza, muscoli e chili».

Quanto si sente compatibile con il gioco di Sacchetti?

«Guardate che io alla fine mi adatto a tutto. Quello di Meo Sacchetti è un gioco molto libero e a me piace giocare con chi sa giocare a basket, mi piace farmi trovare pronto per l’assist e dare io il passaggio vincente. Mi posso adattare, il problema sarà la velocità, che non posso reggere».

Conosce i nuovi compagni?

«Ho giocato un anno a Siena con d’Ercole, ma tutti gli altri so chi sono».

La Dinamo potrà ripetersi?

«E’ difficilissimo però non è mai detto. Dipende, ma bisogna allenarsi sodo ogni giorno».

Che numero ha scelto?

«L’11. Avrei voluto l’8 ma ce l'ha Jack e comunque va bene, ho sempre avuto l’8 o l’11».

Conosce la Sardegna?

«Ben poco, solo cinque giorni di vacanza a Villasimius dopo una tappa con la Nazionale. E’ una terra da scoprire e lo farò con la famiglia. Ma alla Reyer Venezia il fisioterapista, un sardo, mi ha istruito, mi ha raccontato e spiegato molto e mi ha portato anche un porcetto e un buon limoncino».

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