La Nuova Sardegna

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Sotto il tricolore niente Il basket sardo cerca di risollevarsi

di Mario Carta
Sotto il tricolore niente Il basket sardo cerca di risollevarsi

Nei tornei nazionali sopravvivono solo due team femminili Perra, presidente della Fip sarda: «Diamoci sotto con i vivai»

31 luglio 2015
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SASSARI. Sotto lo scudetto niente. Il basket maschile sardo nella stagione che sta per cominciare vivrà il suo momento più alto e più basso insieme. Più alto grazie alla Dinamo che in Italia ha vinto tutto, più basso perché per la prima volta dopo decenni nessuna squadra maschile isolana disputerà campionati nazionali. Sant’Orsola Sassari e Pallacanestro Cagliari hanno rinunciato alla B per motivi economici. E non è che il basket femminile stia meghlio, anzi. Il Cus Cagliari passa dai playoff scudetto e dalla A1 alla B, come Mercede Alghero e Astro. Restano in A2 solo Virtus Cagliari e San SAlvatore Selargius, ma anche loro hanno denunciato il ritardo dei contributi regionali che è costato la retrocessione alle “cugine”.

Effetto Dinamo? I sassaresi hanno cannibalizzato tutto, con gli oltre cento fra sponsor e sponsorini, facendosi il deserto intorno? E’ una teoria alla quale Bruno Perra, presidente della Fip sarda, non crede.

«Sarà uno dei motivi – risponde –, ma non certo il primo. La Sardegna in Italia è la prima regione a risentire della crisi, e non soltanto nel basket. Nelle altre regioni è diverso, anche i piccoli centri sono vitali e non faccio solo l’esempio di Sassuolo».

Qui ora c’è solo la Regione. Anzi, c’era solo la Regione.

«La Regione anche se con grande difficoltà una mano l’ha sempre data, qualche fondo è stato tagliato ma è vero che ci sono altre priorità, rispetto allo sport».

Sopravvivono solo i pesci grossi, Cagliari calcio e Dinamo basket.

«Sopravvivono i fenomeni e la Dinamo lo è, grazie ai risultati e alla strategia di Srefano Sardar, ma in queste situazioni lo sport minore è quello che soffre di più».

Dov’è l’errore?

«Negli anni sono venuti a mancare i giocatori locali. Prima una C nazionale la facevamo con le nostre forze, al limite da fuori prendevi uno-due giocatori. Oggi non avendo materiale umano per fare il salto di qualità siamo costretti a pescare da fuori. Abbiamo abbandonato i vivai, erano la forza della Dinamo ma anche dell’Esperia. Milia, Carrabs, Schlic, Serra. Il Sant’Orsola era una squadra di quartiere ed è andata in A. Serradimigni, Santona, Motzo.... Nel settore giovanile lavoravano più società. Il giocatore locale ti faceva risparmiare e quelli bravi fruttavano anche qualche soldo».

Oggi...

«Oggi paradossalmente abbiamo prodotto Datome, un giocatore da Nba, ma ci manca la base, tolta qualche eccezione. Però abbiamo un incredibile numero di tesserati, il basket esplode nei piccoli centri e unendo le forze ci mettiamo poco a risollevarci».

E’ ottimista.

«Sì, ma rimbocchiamoci le maniche, e uniamoci. Anche così sfrutteremo il fenomeno Dinamo, adesso che il basket grazie alla Dinamo è entrato nelle case di tutti i sardi».

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