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Meo Sacchetti come Manlio Scopigno, i filosofi e le imprese possibili

di FRANCESCO PINNA ;

di FRANCESCO PINNA Ci voleva un filosofo per coltivare questa splendida folle idea di uno scudetto del basket nella terra dei tracagnotti. Ci voleva un filosofo per sognare un'utopia e governare...

28 giugno 2015
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di FRANCESCO PINNA

Ci voleva un filosofo per coltivare questa splendida folle idea di uno scudetto del basket nella terra dei tracagnotti. Ci voleva un filosofo per sognare un'utopia e governare questa banda di talentuosi, anarchici, straordinari, irascibili Giganti del basket. Non arrivi per caso a gestire una stagione di fughe e frenate, di prodezze ed errori, emozioni e depressioni. Non vinci due coppe con le spalle al muro, non vai a schiaffeggiare Milano sul suo campo, a prendere a sberle sportive i Golia della pallacanestro, non recuperi mille e mille volte una Reggio Emilia infinita. Non fai tutto questo se non hai la sensazione di poter tenere tutto in mano, se non hai un'anima positiva, una competenza profonda e la capacità di conoscere situazioni e persone di questo mondo. La vittoria della Dinamo è il capolavoro di Meo Sacchetti, la meritata apoteosi del filosofo della porta accanto, il trionfo della saggezza normale, della passione rigorosa, della fantasia e del lavoro.

Sacchetti come Scopigno. Anche lui, come il mai dimenticato allenatore del Cagliari dello scudetto, ha realizzato un'impresa che sembrava impossibile, ha scompaginato le gerarchie dello sport, ha portato la provincia in paradiso. Certo Scopigno aveva Gigi Riva, il fuoriclasse senza confini che risolveva tutto. Il Rombodituono della Dinamo è lui il grande Meo. Vengono dalle stesse parti, Leggiuno non è lontana da Varese. Si sono innamorati entrambi di una terra che adora gli uomini tutti d'un pezzo, di poche parole e molti fatti. Il bomber continua a mangiare spaghetti alle vongole in un ristorante di via Roma a Cagliari, Sacchetti scopre i cannonau nelle vigne del Nord Sardegna e se adesso lo incontri sulla pista ciclabile di Alghero, ti devi buttare in cunetta perché con quello scudetto stampato sul petto non c'è spazio per nessuno.

Sacchetti come Scopigno. Il filosofo di Rieti si era ritrovato un tesoro di squadra che Arrica e le circostanze gli avevano messo a disposizione e lo aveva gestito rispettando talenti e trasgressioni. Sacchetti ha avuto pazienza, ha aiutato la società a crescere partendo da un patrimonio di passioni e storia e trovando in Stefano Sardara uno strepitoso acceleratore. Ha costruito un gruppo al quale gli italiani davano sostanza, entusiasmo e spogliatoio e consentivano alle stelle multirazziali un ingresso senza traumi. Ha sfiorato l'impresa con i Diener, ma la base della sua filosofia era solida e l'arrivo di una serie di incredibili talenti, umorali ma dotati, bizzarri ma motivati, gli ha consentito di far quadrare il cerchio.

Fa già parte dei nuraghi dell'isola Meo Sacchetti. E chi lo sposta più. Ma c'è un'immagine che rimarrà indelebile, quell'abbraccio col figlio Brian è di una tenerezza infinita. Ti luccicano gli occhi, il ragazzo con l'aria felice, lui con i baffi eccitati. Uno si emoziona se palleggia col proprio figlio, Meo lo ha mandato in campo a prendersi lo scudetto. Più filosofo di così.

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