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«Sarà una grande Dinamo anche senza i Diener»

di Roberto Sanna
«Sarà una grande Dinamo anche senza i Diener»

Il coach Meo Sacchetti non ha rimpianti e pensa già alla nuova stagione. La sfida con Milano alla pari per cinque partite, gara6 è stata a senso unico

23 giugno 2014
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ALGHERO. Meo Sacchetti si confonde in mezzo ai turisti di inizio estate. Seduto al tavolino di un bar del centro, Gazzetta in tasca, sigaro in mano, ha messo alle spalle una stagione lunga e gloriosa e si prepara a viverne un’altra. Sarà un’estate importante perché non sarà più la Dinamo dei Diener, quella delle due semifinali scudetto e della vittoria in Coppa Italia, ma potrebbe essere anche quella della prima partecipazione all’Eurolega. Meo vive la stagione di transizione senza scomporsi, aspetta notizie e nel frattempo mette a punto la sua nuova dimensione isolana a tutto tondo: «Non mi muovo da qui, dopo ventiquattro anni ho deciso di chiudere il camp della Val Sesia, stava diventando faticoso andare su e giù. Adesso c’è mia moglie, sto finendo di sistemare l’orto, purtroppo c’è il problema dei cinghiali che entrano ma tutti mi dicono che non c’’è altro da fare che conviverci».

lI finale di stagione e l’eliminazione contro Milano sono già storia?

«Un’eliminazione così ti fa rimanere male per l’ultima partita, non capisci se sei stato veramente bravo per cinque partite oppure la differenza è quella della sesta. Ce la siamo giocata, abbiamo vinto due partite, una l’abbiamo persa al supplementare, nell’ultima Milano è stata più forte».

Uno stato d’animo diverso da quello dell’anno scorso, comunque.

«Non c’è paragone. Contro Cantù è stata una beffa, ci sentivamo migliori».

Non avete il rimpianto di non essere riusciti a giocarvi tutto in una gara7?

«Sarebbe stato bello ma il campo ha detto che in gara6 la differenza è stata enorme, hanno vinto meritatamente. Bisogna accettare il verdetto del vero giudice, cioè il campo».

Mai pensato che il percorso avrebbe potuto essere diverso e la sfida con Milano essere una finale scudetto?

«Non è fondamentale. Sì, giocando la finale saremmo arrivati dove mai eravamo stati, ma quando arrivi a un certo punto pensi solo ad arrivare in fondo. E allora certe squadre devi incontrarle e batterle».

Stupito della decisione di Travis Diener?

«All’inizio sì, poi ho parlato con lui e capito la sua situazione. In estate ha avuto un’esperienza non felicissima in nazionale, non ha fatto la solita sosta, ha vissuto un’annata difficile per gli acciacchi e la convivenza con Marques Green. In quel momento di stanchezza mentale è arrivata l’offerta di Marquette».

Non aveva mai lasciato trapelare nulla?

«No, nemmeno io lo avevo capito. Però mi sono accorto subito che non avrebbe avuto ripensamenti, credo che un atleta debba avere la testa libera e se cominci ad avere certi pensieri, è finita davvero».

Prima Pozzecco, poi Travis: le piacciono i giocatori con un po’ di follia e tanto talento?

«Sì, forse perché io da giocatore non avevo molto talento e per affermarmi ho dovuto fare un percorso diverso. Non è semplice gestire certi giocatori, è anche difficile farli accettare agli altri e in questo il nostro gruppo italiano è fondamentale. Però ogni tanto il gioco vale la candela».

Sinceramente: quale dei due è stato più difficile gestire?

«Pozzecco nell’anno in cui l’ho allenato ha dato i numeri solo un paio di volte. In certe cose, credetemi, Travis è imbattibile. Lo salva il fatto che è un ragazzo solare, capisci qual è il suo stato d’animo non sta in silenzio per giorni».

Chi le mancherà maggiormente dei cugini Diener?

«Il rapporto con loro due è diverso, Drake lo conosco dai tempi di Castelletto Ticino. Diciamo che è come avere due figli che vanno a scuola. Uno si applica tanto e prende ogni giorno otto, l’altro potrebbe prendere dieci però si applica meno e ogni tanto prende quattro».

E che squadra sarà senza Travis e Drake?

«Intanto non rinuncio ai miei principi, cercherò un play pericoloso al tiro e in grado di far giocare i compagni, anche se non è facile. E poi troveremo altri giocatori, come abbiamo sempre fatto. Quando sono arrivato tutti parlavano di Whiting che non c’era più, poi abbiamo perso Jason Rowe, è andato via anche James White. E abbiamo sempre costruito delle buone squadre, credo. Smettiamola anche con la storia dei tradimenti e delle maglie: stiamo parlando di professionisti che vivono del loro lavoro e fanno le scelte che ritengono migliori. Ora cercheremo i sostituti di Travis e Drake, forse saranno meno bravi o forse migliori, chi lo sa. Di sicuro non faremo l’errore di replicare quella squadra. Magari avremo delle guardie meno brave nel tiro da fuori ma più forti fisicamente e tireremo più liberi... Preferisco rischiare qualcosa nella scelta del lungo e investire di più sul play, cercheremo comunque un lungo verticale, veloce. Sarà ancora un roster lungo con due play forti. Anche se non è una situazione semplice da gestire, perché a parole sono tutti pronti a sacrificarsi per la squadra ma al momento di stare seduti un po’ meno. Mi rendo conto che un play deve sentirsi sempre protagonista, però se uno non è in grado di reggere certe situazioni, deve chiedere di andare via a gennaio e non trascinare i problemi fino a giugno».

State sempre crescendo come società, è arrivato il momento dell’Eurolega?

«La nostra crescita è un fatto oggettivo, cinque anni fa eravamo in Legadue e ora parliamo di giocare contro Real Madrid e Barcellona. L’Eurolega è una sfida impegnativa, ci sono squadre molto attrezzate. Se la società se la sente, io sono pronto».

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