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Il bimbo curioso: «Ma quanto sono forti i Chicago Bulls?»

di Dario Budroni

di Dario Budroni OLBIA Chissà che strano effetto. Entrare nel tuo palazzetto, vedere il tuo faccione appeso alle pareti, trovare una folla di bambini che ti acclama come fossi un dio. Certo, ormai ci...

04 maggio 2014
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di Dario Budroni

OLBIA

Chissà che strano effetto. Entrare nel tuo palazzetto, vedere il tuo faccione appeso alle pareti, trovare una folla di bambini che ti acclama come fossi un dio. Certo, ormai ci avrà fatto l’abitudine. Ma per Gigi Datome, il gigante buono tutto barba e capelli lunghi, deve essere stato comunque un pomeriggio particolare. Ieri sì è presentato col sorriso, ha dato il cinque a chiunque e poi si è fermato a metà campo, pronto a rispondere alle domande di quei bambini che gli arrivano al bacino.

Uno di loro alza la mano e senza timore chiede: «Come ti sei trovato quando sei arrivato in America?». E Datome subito risponde: «Bene. Solo che all’inizio non parlavo molto bene l’inglese. Ma poi pian piano ho imparato la loro velocità...». Un altro bambino, capelli biondissimi, invece domanda: «Come è stato giocare contro la Lituania?». E Gigi a sua volta chiede: «Tu sei lituano?». «Per metà» risponde il bimbo. «Non è stato per niente facile, la Lituania è una squadra composta da giocatori forti e con un gran fisico». E poi altre domande ancora. Una addirittura sui mitici Chicago Bulls, cosa che dimostra quanto la leggenda dei tori rossi (e di Michael Jordan) sia viva anche tra i bambini di oggi. Un altro giovanissimo si concentra invece sul distacco da Roma. «Mi è dispiaciuto, ho abitato a Roma per 5 anni e lì ho vissuto momenti indimenticabili. È stato difficile abbandonarla, ma non potevo certamente dire no alla Nba. Sono cose che capitano una volta sola nella vita». E il primo giorno a Detroit? «Quando sono arrivato mi hanno visitato, fotografato e intervistato. La sera sono andato a cena con la mia nuova squadra e il giorno dopo ho sostenuto il mio primo allenamento negli Stati Uniti».

Avere Gigi Datome a quella distanza, comunque, non è una cosa che capita tutti i giorni. Così anche un allenatore si fa avanti e presenta la sua domanda: «Che differenza c’è tra Usa e Italia per quanto riguarda la preparazione dei bambini?». E la star risponde: «Lì è molto diverso. Non ci sono le società come la Santa Croce, perché i bambini giocano a pallacanestro a scuola, fanno tante ore di sport e sono molto seguiti».

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