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Datome: «La mia sfida in Nba tra i giganti del basket»

di Andrea Sini
Datome: «La mia sfida in Nba tra i giganti del basket»

Il campione olbiese racconta alla Nuova il suo primo anno nella Nba americana, tempio del basket mondiale. Il giocatore parla della sua esperienza con i Pistons di Detroit e dei progetti con la maglia azzurra

29 aprile 2014
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SASSARI. Con la sola imposizione delle mani è capace di far sognare un’intera isola, di regalare speranze alla sua città ferita e di far sorridere senza freni le migliaia di fan personali che lo seguono sui social network. Il cugino d’America torna a casa con la valigia che trabocca di regali, storie e nuovi sogni. Luigi Datome in arte Gigi realizza sogni per sè e per la gente, sgomita senza paura di fronte ai più forti giocatori del mondo e ha il carattere per reagire di fronte alle difficoltà. La prima, storica stagione in Nba di un giocatore sardo non è andata secondo le aspettative, ma la stella partita da Olbia e atterrata un anno fa a Detroit è pronta a rilanciare.

- Mister Datome, i suoi Pistons non si sono qualificati per i playoff e lei è già in vacanza. È tempo di bilanci, insomma.

«Il primo anno di Nba è alle spalle e la considero un’esperienza positiva, nonostante non abbia avuto molte chance di mettermi in mostra e nonostante il fatto che sicuramente mi aspettavo di più. Ma ho imparato tanto e ho iniziato a confrontarmi con questo mondo fantastico. Spero in futuro di riuscire a ritagliarmi più spazio».

- In Nba si gioca tantissimo, si viaggia molto e non ci si allena praticamente mai. Come si può fare per emergere?

«Per me sarebbe fondamentale avere l’occasione di giocare con un minutaggio consistente un ciclo di 5-6 partite, che poi sono uno spazio temporale di un paio di settimane. La continuità è fondamentale per inserirsi nel giusto sistema. Ho un altro anno di contratto con i Pistons e ho l’intenzione di sfruttarlo sino in fondo. Vedremo cosa accadrà».

- Riavvolgiamo il nastro. Qual è il momento che porta dentro con più emozione?

«Me ne vengono in mente diversi: penso ai primi giorni, la cena a casa di Joe Dumars (ex leggenda dei Pistons e poi general manager, ndr) per le trattative, il primo impatto con il Palace, l’impianto che poi è diventato la mia seconda casa, un posto perfetto in cui fare basket e tutte le attività collaterali. E poi la consegna della prima maglia col mio nome, l’esordio, il primo canestro...».

- A chi ha regalato le prime maglie numero 13 dei Pistons?

«Quella dell’esordio l’ho regalata a un amico, mentre quella con cui ho segnato i primi due punti ce l’ha mio fratello Tullio. La primissima, quella della presentazione ufficiale, non ho resistito e l’ho messa per dormire la prima notte, come un bambino. E poi l’ho conservata come una reliquia».

- È in quel momento che ha sentito per la prima volta di avere realizzato il suo sogno?

«Forse sì. Poi piano piano tutto diventa naturale. Il vero obiettivo è entrare a fare parte di quel mondo. Ci sono riuscito e voglio restarci».

- Chi vincerà il campionato Nba?

«La squadra da battere secondo me è sempre Miami. A ovest però il livello medio è più alto

- Proprio pochi giorni dopo il suo esordio nel più importante campionato di basket del mondo, la Sardegna e in particolare la sua città, Olbia, sono state travolte dal dramma dell’alluvione. Come ha vissuto quei giorni?

«Con grande apprensione e con una terribile sensazione di impotenza. È stata una cosa stranissima, perché razionalmente anche se fossi stato a Roma non avrei potuto fare nulla, ma l’essere dall’altra parte del mondo mi ha messo addosso un’ansia enorme. Leggevo i giornali, guardavo i post dei miei amici su facebook e twitter e cercavo così di tenermi informato senza essere invadente. Per fortuna la mia famiglia non è stata toccata direttamente, ma conosco tanta gente che ha perso la casa, il lavoro, o semplicemente la macchina, comunque oggetti costati anni di sacrifici».

- Cosa prova oggi, a distanza di oltre cinque mesi?

«Soprattutto rabbia. I sardi si sono mobilitati in maniera commovente, sono arrivati aiuti da fuori ma la burocrazia ha bloccato tutto. Oggi c’è ancora gente disperata che sta lottando per avere ciò che le spetta e ciò che tanta gente ha donato. Invece sembra tutto fermo, c’è ancora da aspettare e questo è inaccettabile».

- È questa l’immagine dell’Italia che arriva all’esterno?

«La gente in America si interessa dell’Italia, ma non sempre gli esempi che portiamo all’esterno sono virtuosi. Sanno di Berlusconi, mi chiedono che tipo è Renzi. Io leggo ogni giorno il Corriere della Sera sul tablet e mi tengo informato. La politica è lo specchio di un paese e noi spesso non diamo di noi una bellissima immagine. Eppure ci sono esempi di eccellenze. Abbiamo vinto l’Oscar, per dire, mi vengono in mente i medici che operano in luoghi disagiati di tutto il mondo. L’Italia deve tornare a essere un punto di riferimento nel mondo per la politica e la cultura».

- Ha già detto che questa estate sarà a disposizione della nazionale. Conferma?

«Certamente. La nazionale fa parte delle mie estati dal 2001. L’azzurro è qualcosa di speciale. Se da ragazzino sognavo di essere convocato e attendevo con impazienza la chiamata, oggi che ho raggiunto un certo status come giocatore è doveroso che io mi metta a disposizione».

- Però non giocherete i mondiali.

«È un vero peccato, siamo un bel gruppo, abbiamo fatto ottime cose nel 2012 e l’anno scorso abbiamo giocato un grande Europeo. Avrei voluto misurarmi a quei livelli con i miei compagni e amici».

- In compenso tornerà in Sardegna con la nazionale. Due anni fa a Sassari, stavolta a Cagliari.

«È sempre bello giocare davanti alla mia gente. Saranno partite vere, voglio assolutamente esserci».

- Chi sarà il prossimo azzurro a raggiungerla in Nba?

«Non saprei, perché servono tante componenti. Se un anno prima di andare in America mi avessero detto che sarei arrivato in Nba, non ci avrei creduto. Poi ho avuto la possibilità di mettermi in mostra con Roma, che con una stagione sensazionale mi ha aiutato a guadagnare visibilità e così è arrivata la chiamata. Il basket è così, serve l’occasione e poi devi saperla sfruttare. In Italia ci sono diversi prospetti che sarebbero all’altezza, ma devono anche avere l’occasione giusta per emergere. I playoff da questo punto di vista possono essere fondamentali».

- A proposito, scudetto già cucito sulle maglie di Milano?

«E’ la squadra da battere, gioca una bella pallacanestro e sulle 7 partite sarà difficilissimo batterla. Ma ci sono squadre come Siena, che è sempre tostissima da superare, Cantù e Sassari che possono dare fastidio. Mi auguro che i playoff siano belli e combattuti, sarebbero un bello spot per il nostro basket, che non è un prodotto che viene venduto benissimo».

- Questo è stato anche l’anno della vittoria della Dinamo in Coppa Italia.

«Un successo prestigioso per una società solida, che si è sempre distinta per la mentalità e per rispettare gli impegni. Avere portato in Sardegna un trofeo così prestigioso è il giusto premio per Sassari. Aggiungiamoci anche le loro storie, tipo Meo Sacchetti che da coach emergente è diventato una realtà, o l’esempio di Vanuzzo, Devecchi e Sacchetti che sono diventati ormai sassaresi acquisiti. Per tornare a ciò che dicevo prima, sono tutti elementi che fanno bene al basket italiano».

- Sabato è tornato a Roma per salutare i suoi vecchi compagni e tifosi. A bordo campo è stato accolto come un eroe.

«Ho avuto un’accoglienza incredibile, è stata un’emozione unica. Avevo anche voglia di stare qualche giorno a Roma: tanta gente mi ha fermato per strada per salutarmi e complimentarsi con me. Roma vive di calcio e oltretutto non è facile conquistare il cuore dei romani. È bello scoprire che la gente ricorda ciò che di buono hai fatto e ti è riconoscente».

- Come trascorrerà l’estate?

«A maggio tornerò in America per un programma di lavoro specifico. Poi giugno saranno le mie vere ferie, e le trascorrerò a Olbia, facendo magari qualche weekend fuori. A luglio ci sarà la nazionale e poi si riparte, come ogni anno».

- Ha accennato alla sua passione per i social network. Lei sembra divertirsi parecchio sulle piattaforme multimediali.

«Mi piace avere un contatto diretto con i tifosi, con le persone in genere, anche se mi trovo dalla parte opposta del mondo. Mi piace far conoscere il mio punto di vista su ciò che accade, condividere le mie emozioni e i miei pensieri. E anche condividere una canzone, o cazzeggiare un po’».

- È proprio sui social che è nato il personaggio di Datome come “Jesus”. Lei sembra averla presa bene.

«Proprio così, mi piace scherzarci su. Niente di blasfemo, ci mancherebbe, ma col fatto che porto la barba e ho i capelli lunghi, anche se legati, la gente ha iniziato a fare battute su Gesù e a mettere in rete fotomontaggi. Sì, è una cosa spassosa, non bisogna mai prendersi troppo sul serio».

Trascorrono alcuni minuti e sul profilo twitter di Luigi Datome compare il seguente messaggio: «In treno, una signora: “Come mai quel ragazzo ti ha chiesto un autografo?”. “Perché sono un famoso attore porno”. Il gelo».

Quando si dice non prendersi sul serio. Questo è Luigi Datome in arte Gigi.

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