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Oscar alla carriera, Mimmino Sciretti entra nell’Olimpo

di Dario Budroni
Oscar alla carriera, Mimmino Sciretti entra nell’Olimpo

Riconoscimento nazionale allo storico allenatore di Olbia «Felicissimo, per me lo sport è ora una missione sociale»

05 marzo 2014
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OLBIA. Mitologia da pallacanestro. La sua grande bellezza è una storia cominciata a cavallo tra gli anni 70 e 80. Mentre il suo Oscar alla carriera è un documento che porta la firma del presidente della Federazione. Mimmino Sciretti, classe 1957, un severo dal cuore gentile, il mese scorso ha preso posto nell’Olimpo del basket italiano. È stato infatti nominato «Allenatore benemerito». Un riconoscimento immenso, dedicato ogni anno a un solo coach italiano. Il massimo per uno come lui, allenatore da 40 anni, fondatore e presidente dell’Olimpia, star indiscussa della palla a spicchi.

Sciretti, cosa ha pensato quando ha ricevuto la notizia?

«Beh, sono rimasto molto contento. Questo è un riconoscimento che mi gratifica dopo tanti anni di sacrifici in favore dello sport. Ma sono sincero. Dopo tutto il tempo che ho dedicato al basket, penso di essermelo meritato».

Lo ha dedicato a qualcuno?

«Alla mia famiglia, alla quale ho sottratto molto tempo. E ovviamente anche a tutte quelle persone che mi sono state vicino negli anni».

Ma come è nata questa passione per il basket?

«Io sono nato nel 1957 e quando ero bambino, a Olbia, c’erano davvero poche cose. A 13 anni mi sono però avvicinato alla polisportiva di piazza Santa Croce. Quella è stata la mia prima esperienza. Così pian piano ho cominciato a giocare e a 18 anni, dopo la nascita della società Santa Croce, ho iniziato ad allenare i primi gruppi di ragazzini».

E poi è arrivata l’Olimpia.

«Sì, nel 1991. Fu una scommessa condivisa con un gruppo di genitori. Abbiamo fondato una nuova società, senza troppe pretese. Invece è stato un boom, con centinaia di atleti di tutte le età e una prima squadra che ha giocato ad alti livelli».

Lei segue sia la prima squadra che alcune giovanili. Quante persone pensa di aver allenato?

«Impossibile fare un calcolo, ma penso migliaia. Spesso mi capita di incontrare delle persone che mi dicono: “Lei è stato il mio allenatore”. Purtroppo non riconosco quasi più nessuno, i miei allievi sono cresciuti troppo».

Qual è stato il momento più bello della sua carriera?

«Quando abbiamo vinto i playoff e siamo saliti nella serie C regionale. Era il 2004. È una cosa che non dimenticherò mai, una soddisfazione immensa».

E il più brutto?

«Quando sono scomparsi il presidente onorario, l’avvocato Mulas, e il nostro giocatore Andrea Chinnì, che aveva solo 30 anni. Questi sicuramente i momenti più brutti. Per quanto riguarda il basket giocato, ho sofferto quando abbiamo dovuto lasciare la C nazionale per questioni economiche».

E adesso a cosa punta l’Olimpia?

«Dopo la C nazionale siamo ripartiti da zero. Ora la prima squadra milita nella C regionale. Ed è quarta, dimostrando di essere la prima squadra del territorio. Poi puntiamo a coinvolgere sempre più giovani. Sarà l’età, ma ormai vedo il basket come una missione sociale. Penso che sia più importante portare più ragazzi possibile in palestra che far crescere dei campioni. Al momento abbiamo 215 atleti di tutte le età».

Dopo il riconoscimento della Fip, chi ringrazia?

«Voglio ringraziare il nucleo storico degli istruttori, composto da Antonello Civiletti, Corrado Gambino, Nicola Basanisi, Giovanni Pazzola e Davide Lecis. E poi voglio ringraziare i dirigenti: mio fratello Tonio, Giovanni Maggio, Gianfranco Udassi, Lina Tuveri e Franco Abeltino. Tutte persone che mi sono vicine e che contribuiscono a rendere grande l’Olimpia».

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