La Nuova Sardegna

Sassari

PARLIAMONE - L'ultima ora del soldato Cossu di Nule

Daniela Scano
Una cerimonia per il 25 Aprile
Una cerimonia per il 25 Aprile

Alla vigilia del 25 Aprile il commosso ricordo di un giovane sardo di 23 anni ucciso dai nazisti il 7 settembre 1944 assieme ad altri sette compagni quasi tutti poco più che ventenni è il modo per ricordare che la nostra libertà di oggi è figlia anche di quell'immenso sacrificio

23 aprile 2017
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SASSARI. Si chiamava Antonio, aveva compiuto ventitrè anni a maggio, era un soldato. Il 7 settembre del 1944, due militari tedeschi armati di fucili mitragliatori lo portarono con le mani legate dietro la schiena davanti a un ufficiale sanitario di Carignano, in Piemonte. Antonio sapeva che quello sconosciuto sarebbe stato l’ultimo a sentire la sua voce.

Il dottor Pier Luigi Vigada fu un buon cronista. Attraverso la sua dettagliata relazione possiamo sapere che Antonio Cossu, di Battista e fu Perotto Antonia, nato a Nule il 28 maggio 1921, residente a Nule in via San Pietro 61, poco prima di salire sulla forca nazifascista in località Pilone Virle pronunciò queste parole. «Non ho fatto nulla: sono innocente. Non ho ucciso nessuno». Parlò «con voce franca – annotò il dottore – sebbene il suo aspetto denunzi uno stato d’animo poco tranquillo». Poco prima il militare sardo aveva corretto il medico che stava sbagliando il nome del suo paese lontano: «Nule, non Nole».

Quella mattina alle 10.30 Antonio fu il primo a morire. Lo fecero salire su un tavolo con uno sgabello. «La testa gli viene passata attraverso il nodo scorsoio mentre un soldato gli lega i piedi con la corda – scrive il dottor Vigada –. Al comando dell’ufficiale tedesco un soldato tira verso di sè la corda che gli lega i piedi, mentre altri due tolgono rapidamente lo sgabello e il tavolino. L’esecuzione è avvenuta».

I soldati tedeschi intorno scherzavano e ridevano tra loro, fumando. Il parroco di Carignano avrebbe voluto avvicinarsi ai condannati a morte, in tutto otto tra partigiani e ufficiali dell’esercito italiano, ma l’ufficiale tedesco disse che «no, non potere. Non avere istruzioni in merito. Se poi il prete rispondere alle domande del condannato, quale punizione dare al prete?».

Dopo Antonio, quel giorno andarono a morte il tenente colonnello Leonardo Cocito, 30 anni, e salendo al patibolo gridò «Viva l’Italia». «Questo essere uomo» commentò il boia. «Viva l'Italia» risuonò altre volte, quella mattina. La gridarono il tenente colonnello Liberale Dezardo, 51 anni, il più “anziano” del gruppo; il meccanico diciannovenne Guido Portigliatti, il chimico Pietro Mancuso, 24 anni; il manovale ventenne Giorgio Brugo, che ottenne di mandare l’ultimo saluto alla famiglia e alla fidanzata; lo studente universitario Giorgio Porello, 24 anni; il meccanico Marco Lamberti, 29 anni.

Alle 11.35 del 7 settembre 1944 era tutto finito. I cadaveri furono lasciati appesi alle forche fino a sera, come monito agli italiani che quegli uomini volevano liberare dalla oppressione nazifascista. Il parroco implorò il permesso di impartire l’assoluzione ai martiri ma gli venne negato.

Il dottor Vigada, l’unico al quale venne concesso di avvicinarsi ai cadaveri, sfidò l’ira dei tedeschi per aggiustare loro gli abiti e per abbottonare qualche giacca slacciata. «Un ago – scrisse nella sua relazione – mi viene fornito dal parroco per tenere chiusa la giubba di uno che è senza bottoni».

L’ufficiale tedesco aveva fretta di andarsene e lo fece, racconta il testimone dell’eccidio, dopo avere esclamato «Brutto ordine, brutto comando. Cosa più brutta da dover fare. Pensare che un anno fa erano nostri camerati». E quando se ne andò, ordinò al medico di inviare i saluti solo alle famiglie dei condannati a morte che lo avevano chiesto espressamente. «Se loro non avere pensato alla famiglia all’ultimo momento – spiegò, raggelante – noi non potere fare niente. Scrivere solo a quelli, ma senza indicazione del luogo». «Io invece ho inviato i saluti a tutti, escluso Cossu per impossibilità postali».

Il “Parliamone” di oggi, antivigilia del 25 aprile, è dedicato senza ulteriori commenti ad Antonio e a tutti gli altri italiani ai quali dobbiamo eterna riconoscenza. Parliamo di loro, ricordiamoli, custodiamo la memoria del loro martirio come un bene inestimabile. La nostra libertà è, oggi e per sempre, il prezzo del loro sacrificio.

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