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Sassari, viaggio nei quartieri: il “Parioli” cittadino mostra le prime rughe

di Giovanni Bua
Sassari, viaggio nei quartieri: il “Parioli” cittadino mostra le prime rughe

Luna 'e Sole-Monte Bianchinu, fondato negli anni ’70 dalla borghesia rampante tra lecci e oliveti ma ora le villette perdono pezzi e tra le vie di lusso bussa la povertà

23 aprile 2017
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SASSARI. Quando nel 1973 un’astronave di cemento armato atterrò nel cuore del nascente quartiere di Luna e Sole furono in molti a storcere il naso. Quella chiesa moderna, inventata dall’ingegnere Luigi Putzu (autore, insieme a Giuseppe Porcellana, anche dello sporting club Le Querce, che inaugurerà 11 anni dopo) era quasi un’eresia per la Sassari bene cresciuta tra le antiche navate di San Giuseppe e Sant’Agostino, San Nicola e Cappuccini.

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E invece quella strana struttura, ambiziosa e un bel po’ fuori dagli schemi, ben rappresentava lo spirito dei progettisti di Luna e Sole: un gruppo di villette e palazzine di nuova concezione che “aggrediva” le aree rese edificabili dal Prg del 1962 e arrivava fino alla zona olivettata oltre via Gramsci, arrestandosi al portale di pietra dove la luna e il sole scolpiti daranno il nome all’intero quartiere. Una crescita che un decennio dopo continua, nell’ampia collina boscosa e disabitata di Monte Bianchinu, divisa in enormi apprezzamenti di proprietà di famiglie nobiliari come i Di Suni, e notabili. Terreni poi passati in gran parte nelle sagge mani di un allevatore di Giave, Luigi Fadda, che anche grazie all’aiuto di Giuseppe Porcellana (che ne curò la non semplice divisione testamentaria e progettò decine delle ville che, discretamente, la occupano) riuscì a salvare il grande e utracentenario bosco di Lecci. E va avanti, fino ad oggi, col nuovo volto del Tappetino e i grandi palazzi di Piazzale Segni.

Tutto però partì da quella borghesia rampante di professionisti e notabili che in quegli anni tirò il «miglior quartiere residenziale sassarese», che ancora oggi conserva i valori immobiliari più alti della città e rimane tra i più ambiti per mettere radici. Questo anche perché insieme alle case arrivarono da subito i servizi: oltre lo stadio della Torres, il tennis club, gli impianti sportivi con le piscine comunali, il palazzetto dello sport e la nuova estensione del quartiere accompagnata (con qualche strappo e qualche famosa notte “dei lunghi pennarelli”) dal piano regolatore del 1984. Insieme a questi le scuole: le materne ed elementari di via Gorizia, le medie 5 e 12, il convitto nazionale del Canopoleno, diventato negli anni oltre che ambitissimo liceo classico anche sportivo e scientifico. E poi il centro commerciale, il grande Multineddu di via Gramsci (poi diventato Conad) ma anche i discount, le tante palestre e i negozi, oltre al grande mercato di piazzale Segni.

Un quartiere “chiavi in mano” insomma. Che ama riunirsi proprio dentro quella strana astronave di cemento armato e marmo, dove ogni domenica il vulcanico e amatissimo don Franco Manunta (successore dello storico parroco fondatore, don Vittorino Fiori) dispensa energia nelle spettacolari messe popolate da centinaia di bambini (sono quasi 600 gli under 12 a frequentare il catechismo).

Eppure, proprio durante questo grande appuntamento civico oltre che religioso, il “Parioli” sassarese mostra le sua rughe. Fatte di una popolazione che inesorabilmente invecchia, di una nuova generazione che non ha trovato le stesse sicurezze economiche dei genitori, con le prime, anche se discrete e spesso nascoste, povertà che avanzano. Di facciate dei palazzi che iniziano a perder pezzi, come il semi abbandonato arco che al quartiere dà il nome pieno di scritte ed erbacce, e i piccoli negozi che chiudono più veloci di quanto aprono. Trasformando le placide vie delle villette in quartieri dormitorio, di lusso sì, ma per questo senza gran mercato per i tanti che della dorata casa si vorrebbero liberare. Un quartiere in cui a mancare, nonostante la clamorosa cornice di boschi, sono proprio gli spazi verdi, e in generale gli spazi all’aperto di aggregazione. Tanto da far scendere i residenti in piazza per difendere l’unico campo da basket libero, vicino allo storico bowling. O far sembrare alle mamme oro colato i due parchetti aperti al Tappetino e in un ritaglio di piazza Monsignor Carta.

Il quartiere rampante insomma ha il fiato corto. E si sono perse le tracce di quell’entusiasmo grazie a cui i “fondatori”, 50 anni fa, decisero di trasformare in realtà il loro sogno.

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