La Nuova Sardegna

Sassari

I giudici onorari: lavoriamo senza diritti

di Nadia Cossu
 I giudici onorari: lavoriamo senza diritti

Riuniti a Sassari Got, Vpo e giudici di pace dell’isola: «Stabilizzazione sì ma ci riconoscano ferie, malattia e previdenza»

20 aprile 2017
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SASSARI. Alla fine la sintesi di un’astensione che sta letteralmente paralizzando i palazzi di giustizia dell’isola è nelle parole pronunciate a chiusura del suo intervento dal presidente del tribunale di Sassari, Pietro Fanile: «Proviamo a immaginare per un attimo come sarebbe l’attività giudiziaria senza l’apporto dei giudici onorari. Un vero disastro, gli uffici non potrebbero andare avanti».

Significherebbe cioè il collasso, la paralisi del sistema giustizia. Situazione che già si sta verificando ora che giudici onorari di tribunale (Got), vice procuratori onorari (Vpo) e giudici di pace hanno deciso di incrociare le braccia per tutta la settimana. Determinando, come primo effetto pratico, il rinvio di moltissimi processi. Non sono magistrati ordinari, non hanno vinto il concorso in magistratura, ma scrivono ugualmente provvedimenti, ordinanze e sentenze. Hanno le stesse responsabilità di un giudice togato considerato che tra le loro mani passa la vita di centinaia di persone coinvolte in procedimenti civili e penali.

Le ragioni della protesta. La richiesta al Governo è molto diretta: una stabilizzazione che garantisca loro gli stessi diritti di un lavoratore subordinato. Ossia ferie retribuite, indennità di malattia, trattamento previdenziale. «È sin dalla emanazione nel febbraio del 1988 (con il decreto legislativo n. 59) che la cosiddetta magistratura onoraria (Got e Vpo) è entrata a far parte della struttura della giustizia – hanno spiegato ieri i rappresentanti sardi delle tre sigle Nicola Demurtas (GdP), Anna Pintore (GoT) e Daniela Muntoni (VpO) in una conferenza stampa convocata a Sassari – Due anni dopo, il legislatore ha affiancato la figura del giudice di pace, in sostituzione della soppressa figura storica del pretore», il cosiddetto “giudice di prossimità”, più a diretto contatto con il territorio. «Tutte queste figure nel corso del ventennio hanno finito per supportare e sostituire, sostenendolo, l’intero peso dell’apparato giustizia, arrivando a trattare percentuali di carichi che possono arrivare fino al 90% degli interi procedimenti trattati nelle aule di giustizia italiane. A fronte di questo impegno, però, il legislatore non ha mai riconosciuto alcun diritto previdenziale, assistenziale. Si è limitato a “ricompensare” attraverso il “cottimo” (con indennità per sentenza o giorno di udienza) e nulla più, nessun riconoscimento di diritti previdenziali, per maternità o malattia. Si è in sintesi rifiutato di dare il minimo riconoscimento come lavoratori, con la pretesa – lamentano i diretti interessati – che per i magistrati ordinari era “un onore” servire la giustizia».

La legge delega. Il nodo della questione sta tutto nella emanazione della legge delega numero 57 del 2016. Il legislatore «ha preferito mantenersi nel solco della continuità del precariato senza porre alcuna delle premesse alle richieste rivoltegli – hanno spiegato ieri – È dovuta intervenire la Commissione di giustizia europea che, invocata dai “precari della giustizia” ha aperto una fase di precontenzioso (l’ennesimo) contro lo Stato Italiano, raccomandando al ministro Orlando di intervenire con una normativa che faccia cessare la condizione di “precari” dei circa quattromila (in Sardegna centocinquanta) giudici onorari e, nel contempo, riallinei il baratro previdenziale e retributivo che li divide dai “cugini” togati (o cosiddetti professionali).

La decisione del ministro. Il Consiglio di Stato, cui il ministro Orlando si era rivolto in ordine alla possibilità di una forma di stabilizzazione per gli onorari ad oggi in servizio, ha espresso parere favorevole a una stabilizzazione da attuarsi però solo con un apposito strumento legislativo (legge ordinaria o decreto legge). «Resta solo da vedere se avrà la forza, tutta politica, o il coraggio, morale, per dare soluzione a questa vicenda». Nel frattempo i “precari della giustizia” fanno sentire la loro voce attraverso l’astensione dalle udienze e annunciano: «Continueremo fino a quando qualcuno ci ascolterà, in Italia o in Europa».

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