La Nuova Sardegna

Sassari

Delitti Monni-Masala, sopralluogo a Pattada

di Nadia Cossu
Delitti Monni-Masala, sopralluogo a Pattada

I legali dell’imputato Pinna sul luogo in cui è stata incendiata l’auto di Stefano Lunedì è prevista l’arringa della difesa nel processo al Tribunale dei minori

24 marzo 2017
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SASSARI. Un sopralluogo nelle campagne tra Nule e Pattada, dove l’8 maggio fu incendiata la Opel Corsa di Stefano Masala, il trentenne scomparso nel nulla il 7 maggio del 2015, ossia il giorno prima dell’omicidio di Gianluca Monni, lo studente 19enne di Orune.

Giovedì mattina, Agostinangelo Marras – l’avvocato che insieme al collega Angelo Merlini difende Paolo Pinna, il 18enne imputato del duplice omicidio insieme al cugino Alberto Cubeddu – è andato nel posto dove – secondo il racconto del supertestimone Alessandro Taras – Cubeddu avrebbe incendiato l’Opel Corsa di Masala. La stessa macchina, cioè, che la mattina dell’8 maggio era stata inquadrata dalle telecamere di Orune poco prima che Gianluca Monni venisse ucciso.

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Nessuna notizia è trapelata sui dettagli di questo sopralluogo riservato ma l’impressione è che sia stato programmato per via dell’imminenza della discussione dell’avvocato Marras davanti al giudice del tribunale dei minori di Sassari. Con l’astensione delle camere penali tutte le udienze che erano state fissate per questa settimana sono saltate, la prossima è prevista per lunedì quando – a conclusione della requisitoria del pm – sarà proprio l’avvocato difensore a cominciare la sua arringa. È quindi verosimile che il legale sia andato nella zona di Pattada nel tentativo di verificare qualcosa in vista della discussione.

Bisogna sottolineare, a proposito del processo, che tra gli elementi più forti in mano alla Procura c’è il racconto del supertestimone Taras.

Il 14 aprile dell’anno scorso il 30enne si presenta davanti al pubblico ministero di Nuoro insieme al suo avvocato. Racconta che Alberto Cubeddu la sera dell’omicidio Monni lo aveva chiamato: «Mi disse che aveva necessità di bruciare un’automobile di sua proprietà per ragioni di bollo, o di assicurazione, e mi chiese di accompagnarlo». Va detto, a questo proposito, che la richiesta non sembrò strana al giovane considerato che Cubeddu era “solito”, tra le altre cose, incendiare macchine. «Prima di partire verso la località in cui doveva bruciare la macchina, lo vidi armeggiare con un bidone di benzina che poi portò con sè...Io lo seguivo a bordo della mia autovettura».

«Arrivati all’incrocio per Buddusò notai che incrociammo un’auto dei carabinieri, Cubeddu accelerò molto la marcia, tanto che lo persi di vista. Lo rividi solo dopo: si era fermato in un angolo della strada e vidi che muoveva le braccia per chiamarmi. Aveva occultato la macchina dietro la boscaglia, io mi sono fermato e Alberto è salito a bordo della mia auto, siamo andati a controllare che non ci fossero carabinieri in zona». Poi l’incendio: «Io neppure mi avvicino. Fa tutto Alberto da solo, senza il mio aiuto».

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