La Nuova Sardegna

Sassari

Arcadia, nuovo rinvio di un processo infinito

di Nadia Cossu

Chiesta la trascrizione di altri dialoghi tra i 18 imputati di associazione sovversiva Ancora tutto da fare a 15 anni dall’apertura delle indagini e a 11 dagli arresti

24 febbraio 2017
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SASSARI. Ancora un nulla di fatto. Ancora un rinvio nel processo “Arcadia” contro diciotto imputati di «associazione sovversiva con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico». Associazione che secondo il pubblico ministero della Dda di Cagliari, Paolo De Angelis, sarebbe ramificata in due organizzazioni tra loro collegate: Nuclei proletari per il comunismo e Organizzatzione indipendentista rivolutzionaria. Secondo il pm sarebbero «entrambe riferibili al circolo di A Manca pro s’indipendentzia e prima del 2001 al circolo Moncada di Sassari» che sarebbero serviti come «schermo pubblico a chi aderiva all’associazione sovversiva». Ieri mattina è stato chiesto ai periti di trascrivere ulteriori intercettazioni e quindi l’udienza – per via dei tempi tecnici necessari per questo tipo di attività – è stata rinviata al 4 maggio.

I numeri rendono l’idea dei tempi: quindici anni di indagini, undici dall’operazione Arcadia che a luglio del 2006 portò a un’ondata di arresti seguiti da furiose reazioni da parte del mondo indipendentista, quasi tre anni dall’apertura del processo davanti alla corte d’assise di Sassari presieduta da Pietro Fanile (a latere Teresa Castagna), oltre duecento i testimoni citati. Ma da quel momento, a parte le questioni preliminari e la costituzione di parte civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, solo una serie di rinvii.

Le accuse rivolte dalla Dda agli imputati riguardano il presunto coinvolgimento in una serie di «attentati esplosivi, intimidazioni e attività di pianificazione terroristica contro obiettivi sparsi in tutta la Sardegna». Secondo l’accusa, i circoli di A Manca e Moncada «ufficialmente di oggetto e attività politico culturale, in realtà servivano come schermo per coprire con le attività pubbliche e palesi le attività occulte e illecite». Una struttura organizzativa, dunque, grazie alla quale l’associazione sarebbe stata in grado secondo l’accusa di «procurarsi armi ed esplosivi da utilizzare per attentati, atti intimidatori, delitti contro il patrimonio».

«Indagini costate milioni di euro di denaro pubblico – aveva detto all’apertura del processo Bruno Bellomonte, l’ex ferroviere assolto in primo e secondo grado dall’accusa di aver organizzato un attentato contro il G8 alla Maddalena, che poi non si tenne – Pedinamenti, intercettazioni, per non parlare del costo umano rappresentato dalle incarcerazioni e da una sorveglianza oppressiva subìta nella vita quotidiana. Nonostante tutto questo, lo Stato italiano non è riuscito ad addurre alcuna prova concreta a sostegno delle sue accuse. Solo intercettazioni ambientali estrapolate dal loro contesto e interpretate con mala fede».

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