La Nuova Sardegna

Sassari

Sassari, dai vicoli alle piazze: è fuga dal centro storico

di Luca Fiori
Sassari, dai vicoli alle piazze: è fuga dal centro storico

In pochi decenni il centro è passato da 40mila abitanti ai soli 9mila di oggi. Pronti 15 milioni per la riqualificazione. Il sacerdote: non chiamatelo ghetto

18 febbraio 2017
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SASSARI. È un viaggio nel silenzio e nel degrado. Il cuore pulsante della città con i suoi 3.600 edifici, molti dei quali decadenti e scorticati, le sue chiese medievali, i suoi vicoli e le sue piazze un tempo rumorose ed affollate oggi sprofonda nella solitudine e nel silenzio. Basta infilarsi nei vicoli caratteristici o nelle storiche vie del commercio in una qualsiasi mattina di un giorno feriale per capire che la città murata si sta lentamente svuotando delle sue storiche attività e dei suoi abitanti e fermare la fuga sembra ormai un’impresa impossibile.

La grande fuga. Il centro storico è passato in pochi decenni dai 40mila residenti degli anni Sessanta ai 9mila odierni, di cui circa 2mila gli extracomunitari. La fuga riguarda un po’ tutta la città vecchia, ma nessun’altro angolo meglio di piazza Tola, sotto le facciate del palazzo del barone d’Usini del 1577 e la vecchia casa patrizia dei conti di Sant’Elia, può raccontare la desolazione di quello che chiamare quartiere è quantomeno riduttivo.

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Qui nell’antica “Carra Manna”, intorno alla quale un tempo ruotava tutta la vita della città, oggi sono rimaste due bancarelle e il ricordo di un passato glorioso. Se negli ultimi anni, almeno nei mesi estivi, la piazza ritrova una sua vita notturna grazie all’apertura di diversi locali, le mattine del resto dell’anno sotto la statua di Pasquale Tola è rimasto il deserto. E la desolazione da qui si espande tutto intorno, nelle altre piazze e nelle vie che un tempo pullulavano di botteghe e negozi. Le cause sono molteplici e vanno ricercate negli errori di valutazione fatti negli ultimi trent’anni di amministrazione della città. L’apertura di troppi centri commerciali nella zona industriale non può che essere uno dei motivi.

Il piano di rinascita. Ora il Comune ha deciso di mettere in campo un intervento deciso per salvare il cuore della città dal declino, ma in attesa che partano gli interventi che la Regione finanzierà con 15 milioni di euro, ogni giorno che passa è una guerra da combattere per chi ha deciso di resistere e tenere su le serrande o ha scelto di vivere dentro le mura. Gli interventi, al momento in fase di progettazione, porteranno un museo dei Candelieri nel palazzo della Frumentaria, il recupero del vecchio mercato civico destinato a polo del gusto, delle arti e dei mestieri manuali, la valorizzazione della valle del Rosello, dove sorgeranno anche orti urbani e nuove azioni per promuovere la cultura d’impresa e l’inclusione sociale attiva. Saranno le sei le azioni previste dall’intesa, in particolare per la parte bassa del centro storico tra la valle del Rosello e le zone degradate di San Donato e Sant’Apollinare.

Il prete di frontiera. E proprio qui nel quartiere più antico della città che da 11 anni presta la sua opera don Giampiero Satta. «Per favore non chiamatelo ghetto - chiede il sacerdote - perché è l’ultima cosa di cui hanno bisogno le persone che vivono in questa zona della città oggi dimenticata da tutti». Don Satta è uno dei tre parroci che operano all’interno del centro storico. La povertà da queste parti esiste e per venire incontro alle famiglie bisognose la parrocchia distribuisce due volte al mese pacchi con generi alimentari. «Ne consegnamo una settantina - spiega il parroco di Sant’Apollinare - e più della metà viene ritirato da famiglie straniere. I sassaresi sono quasi tutti andati via e le vecchie case del quartiere sono state affittate a senegalesi, nigeriani e marocchini. L’integrazione è difficile - aggiunge don Satta - e forse potrebbe partire dai ragazzi, ma qui quello che manca è un campetto di calcio per far giocare i nostri giovani».

Tentativi di integrazione. Ad integrarsi insieme al marito arrivato in città dieci anni fa e alle due bambine che frequentano la scuola di San Donato ci prova tutti i giorni Anta, senegalese di 35 anni che cinque anni fa ha lasciato il Senegal e ha raggiunto il marito per costruire una famiglia a Sassari. «Si parla tanto di integrazione - spiega la donna - ma vi assicuro che non è semplice. La scuola fa un ottimo lavoro e le bambine sono felici e stanno crescendo bene - aggiunge - ma per noi adulti è diverso. Solo quando i sassaresi smetteranno di rifiutarsi di affittarci le case negli altri quartieri della città - conclude Anta - forse il centro smetterà di essere un ghetto e noi stranieri inizieremo veramente ad integrarci».

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