La Nuova Sardegna

Sassari

Infanticidio, medico in aula: la bambina non dava segni di vita

di Nadia Cossu
Infanticidio, medico in aula: la bambina non dava segni di vita

La piccola era nata in un tugurio, la mamma è a processo Il teste: provai a rianimarla per 40 minuti ma fu inutile

25 gennaio 2017
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SASSARI. «Nella bimba non ho mai riscontrato segni di vita». È stato sentito nell’udienza davanti al collegio presieduto dal giudice Maria Teresa Lupinu il medico di guardia a Valledoria il giorno in cui partorì Sara Gaspa, la trentenne di Santa Maria Coghinas che il 6 gennaio dell’anno scorso aveva visto nascere e poi morire la bimba di poco più di due chili che portava in grembo. Una gravidanza che la donna aveva tenuto nascosta a tutti in paese, compresi medici e assistenti sociali. Il sostituto procuratore Paolo Piras aveva chiesto da subito il giudizio immediato. L’accusa nei suoi confronti è quella di “infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto”.

Il processo si era aperto lo scorso novembre con i primi testi citati dal pm: i medici del reparto di Ginecologia di Sassari dove la Gaspa restò ricoverata dopo il parto. Ieri, invece, sul banco dei testimoni c’era Mohammad Kelaki, il medico di turno alla guardia medica di Valledoria. Un racconto importante, il suo, soprattutto per la difesa rappresentata dall’avvocato Maurizio Serra. Kelaki ha infatti spiegato ai giudici di non aver mai riscontrato segni di vita nella bambina dal momento del suo arrivo nell’abitazione e per tutta la durata dell’intervento. Ha raccontato di aver provato a rianimarla per quaranta minuti. Inutilmente purtroppo.

Nella prima udienza il medico legale Salvatore Lorenzoni si era soffermato, su richiesta precisa del pm Piras, sulla causa della morte del feto rimasto avvolto dal cordone ombelicale. L’obiettivo della Procura è infatti quello di stabilire se l’avvolgimento sia avvenuto all’interno dell’utero (e in questo caso si tratterebbe di una circostanza imprevedibile) oppure durante il parto (in tal caso si configurerebbe il reato di infanticidio perché la donna non si fece mai assistere durante i nove mesi di gravidanza e quindi nemmeno al momento del parto). Secondo Lorenzoni potrebbe essere avvenuto anche 4 o 6 ore prima dell’espulsione ma, a suo avviso, è più verosimile che il feto sia rimasto avvolto durante il parto. Gli inquirenti fin dal primo momento hanno sostenuto che sarebbero bastati un’ecografia e un parto cesareo per salvare la vita alla piccola. Il processo è stato aggiornato al 31 gennaio.

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