La Nuova Sardegna

Sassari

I BAMBINI “MONELLI” E LE PUNIZIONI INUTILI

Bambini monelli. Punizioni su punizioni: bambini seduti a bordo piscina in “sospensione temporanea”, mandati prematuramente a casa durante gli allenamenti; messi in ridicolo davanti agli altri perché...

19 novembre 2016
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Bambini monelli. Punizioni su punizioni: bambini seduti a bordo piscina in “sospensione temporanea”, mandati prematuramente a casa durante gli allenamenti; messi in ridicolo davanti agli altri perché “drummiddi” (addormentati), messi a palleggiare contro il muro perché non ascoltano, obbligati a fare giri di campo e piegamenti; valutati con voti e stelline a scuola, in palestra, in piscina, al catechismo, in Chiesa, ai corsi serali di inglese e musica. Stop.

Nasciamo con la competenza di eccellere nella prestazione, la perdiamo diventando adulti nel momento in cui ciò che facciamo perde il significato e il piacere di ricerca personale e diventa soddisfazione di aspettative nostre e degli altri.

Fanita English sosteneva che gli stadi dello sviluppo emotivo sono fondamentalmente tre: percezione e riconoscimento di un’emozione interna (subisco uno sgambetto sento rabbia), manifestazione esterna con il linguaggio non verbale e verbale e infine azione esterna in relazione all'emozione (affronto chi mi ha offeso). Nel diventare grandi impariamo a distinguere questi tre stadi come momenti specifici, dando spazio alla scelta di cosa vogliamo fare di ciò che sentiamo e proviamo. Anzi più siamo consapevoli di ciò che proviamo, maggiori sono le nostre alternative di risposta. Da piccoli questi tre livelli sono poco chiari e sovrapposti; il rischio educativo è perciò legato al fatto che, inibendo l’espressione dell’emozione che l’adulto vede e riconosce nel comportamento disfunzionale (Marco che spinge Gigi), alla lunga inibisce il riconoscimento che quello stato di attivazione interno è realmente: rabbia.

Processo che se viene costantemente ripetuto ogni volta che Marco esprime rabbia, rischia di insegnare al bambino che la rabbia sia un’emozione sbagliata e proibita; perciò quello stato d’animo vira su un’altra emozione, che il contesto (famiglia e società) ritiene lecita, come la tristezza (nel caso specifico subendo la spinta). Al contrario, un esempio tipico della nostra cultura: il maschio non deve piangere, tristezza non riconosciuta che spesso diventa rancore.

Essere educatori significa considerare che le emozioni sono sempre libere e vere, e che l’intervento adulto parte dal riconoscimento e dalla verbalizzazione («Marco sei arrabbiato») dell’emozione e al più consiste nell’aiutare il bambino ad una espressione che porti ad una crescita con l’altro.

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