La Nuova Sardegna

Sassari

PARLIAMONE: La carità cristiana si ferma davanti al furto di tre banane

di Daniela scano
Un povero chiede l'elemosina
Un povero chiede l'elemosina

Il caso del parroco di Alghero che ha denunciato un povero che ha rubato in canonica per fame

09 ottobre 2016
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Nella canonica di don Coppola la carità cristiana si ferma davanti a un casco di banane. Don Coppola è l’impareggiabile sacerdote algherese che ha denunciato un povero cristo perché gli aveva rubato tre banane, un bicchiere di vino (forse da messa ma non ancora benedetto) e una scatoletta di tonno. La giustizia farà il suo corso e quasi certamente, anzi certamente, l’autore del misfatto sarà processato per furto. Questa l’accusa che, codice penale alla mano, il sostituto procuratore della Repubblica titolare della delicata indagine ha formulato e contestato. Considerate le circostanze della gravissima “azione delittuosa”, forse il magistrato avrebbe preferito sorvolare ma questo è meglio che don Coppola non lo sappia.

Però in Italia c’è l’obbligatorietà dell’azione penale. Significa, in parole povere, che se un pubblico ministero ha notizia di un crimine deve agire, iscrivendo nel registro degli indagati il presunto responsabile.

Analizzando l’azione compiuta dall’imputato, le prove a suo carico e la testimonianza del derubato, si tratta di furto che il codice penale punisce con l’articolo 624. E il magistrato, bisogna dirlo, è stato generoso perché poteva essere più severo. C’è infatti da considerare l’articolo 625, quello delle aggravanti. E qui le cose per Roberto Pais si sarebbero messe male. L’uomo infatti rischiava un aggravio di pena per «essersi introdotto e trattenuto (il tempo necessario per mangiare le tre banane e una scatoletta di tonno, annaffiandole con un bicchiere di rosso) in un edificio (la canonica di don Coppola) o in un altro luogo destinato ad abitazione (sempre la canonica)». Roberto Pais poi avrebbe rischiato grosso se avesse commesso una «violenza sulle cose (rotto un vetro o un piatto) o si fosse avvalso di un qualsiasi mezzo fraudolento (per esempio, avere inventato una bugia con la perpetua di don Coppola per raggiungere il “bottino”)». Insomma il nostro ladro di banane può dirsi fortunato.

L’articolo 625 prevede tante altre aggravanti che in ogni caso non sarebbero state contestate al clochard: avere portato con sé armi o narcotici, avere strappato di mano la refurtiva al derubato (le banane erano infatti in bella mostra su un vassoio), avere agito in compagnia di almeno altre due persone (la fame e la disperazione sono vissute quasi sempre in solitudine), avere rubato cose esposte alla pubblica fede (e a questo punto don Coppola dovrebbe fare una piccola riflessione). Si tratta di furto semplice e il processo sarà breve, ma non è affatto detto che si concluderà con una condanna. Anche nella giustizia degli uomini non tutto è come sembra. Il legislatore ha pensato che anche la più grave azione può avere una giustificazione, parziale o totale. E così il codice della giustizia terrena, come quella del Signore di cui don Coppola è un umile portavoce in terra, prevede una parola che il parroco di Alghero non ha preso in considerazione quando ha fatto la sua denuncia: attenuante. Le attenuanti sono elencate nell’articolo 62 del codice penale e don Coppola dovrebbe leggerle, o rileggerle, per rinfrescare altri valori. Vediamole: avere cagionato alla persona offesa un danno irrilevante, averlo interamente riparato prima del processo. In questo caso il maltolto ammonterebbe a 10 euro. Questo il danno stimato da don Coppola per le banane sottratte. (E qui torna alla mente la meravigliosa battuta di Benigni-Johnny Stecchino «ma quanto costano le banane a Palermo?»). E infine l’avvocato difensore dell’imputato potrà invocare l’attenuante delle attenuanti: «avere agito in stato di necessità». La fame è una brutta compagnia e ti spinge a fare cose che non vorresti. Come rubare a casa di un prete che dimentica la carità cristiana. Anzi, la manda a farsi benedire.

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