La Nuova Sardegna

Sassari

PARLIAMONE - Il soldato, la bambina e l'orrore

Daniela Scano

Il terribile incidente stradale sulla Sassari-Alghero dove due donne sono morte, altre due sono rimaste ferite e, con queste, una piccola di cinque anni, ha provocato anche un'altra vittima: l'investitore, un militare, che dopo aver raccolto la bimba l'ha messa nelle braccia di una soccorritrice ed ha lasciato la strada, vagando a piedi nella campagna, in preda allo choc

24 luglio 2016
4 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Un uomo che tiene tra le braccia una bambina priva di sensi, un soldato che si allontana da una scena sconvolgente lasciandosi alle spalle morti e feriti. Le due fotografie non esistono nella realtà, eppure in questi giorni le hanno viste tutti. Sono le istantanee virtuali, costruite attraverso le testimonianze, che descrivono ciò che è successo sulla Sassari-Alghero dopo il tragico incidente di giovedì pomeriggio.

Il soggetto di entrambi i momenti è Emanuele Secci, 36 anni, caporale maggiore dell’Esercito, un uomo che nella sua carriera ha attraversato tanti scenari di guerra. Giovedì 21 luglio 2016 il graduato non è riuscito ad affrontare la sua battaglia personale dichiarata forse dal destino, dalla fretta, da una fatale distrazione, o da un errore alla guida. Secci era al volante dell’auto che ha provocato la morte di Monica Rita Azzu e di Luisa Mulargia, il ferimento di altre due donne e di una bambina di cinque anni. Una mamma, due nonne, una zia-madrina e la adorabile bambina di tutte. Le quattro adulte, tutte imparentate tra loro, stavano accompagnando la piccola al mare. All’improvviso la macchina si è fermata in panne sulla quattro corsie e dopo pochi minuti ci sono stati solo dolore e morte. Adesso la grande famiglia allargata è divisa tra le corsie di ospedale dove sono ricoverate le ferite e la camera ardente, in bilico tra la speranza per chi ce l’ha fatta e la disperazione per chi non c’è più.

Sull’asfalto rovente, accanto ai guanti di lattice insanguinati dei soccorritori, sono rimasti una piccola sdraio fucsia e uno zainetto pieno di giochi da mare.

C’è una fotografia, scattata da Mauro Chessa, che testimonia senza bisogno di parole la quotidianità di una famiglia devastata dalla sciagura.

Poi ci sono le altre le immagini, quelle che nessuno ha immortalato, ma che i testimoni descrivono molto bene: Emanuele Secci che subito dopo il terrificante impatto prende in braccio la bambina e la affida alla moglie di un automobilista; sempre lui che vaga tra le lamiere e i lamenti; infine lui che scavalca il guard-rail e si allontana a piedi nei campi. Non piange, non dice una parola, non si giustifica. Se ne va. Lo trovano i suoi amici al termine di una notte affannosa, trascorsa con il cupo presagio di un’altra tragedia. Adesso il caporal maggiore è agli arresti per omicidio stradale e per omissione di soccorso. La Polstrada lo avrebbe arrestato anche prima della legge che ha introdotto il reato di “omicidio stradale”. Lo avrebbe fatto perché l’omissione di soccorso è un reato molto grave, non solo per un soldato. E tuttavia ci sono quelle fotografie virtuali, che nessuno ha scattato ma che tutti hanno visto.

L’immagine del soldato che adagia la bambina tra le braccia di una soccorritrice, prima di andarsente senza dire una parola, ha cambiato il giudizio popolare sul capolar maggiore Secci. Su di lui non si è riversata la valanga di giudizi sommari che troppo spesso precedono le inchieste e i processi. C’è stato infinito cordoglio per le vittime, ma anche umana comprensione per l’investitore. Il caporal maggiore è stato risparmiato perfino dal plotone di esecuzione perennemente schierato dei social network.

La ragione di tutto questo c’è, e si chiama immedesimazione. Significa fare proprio un sentimento altrui identificandovisi. La gente, in questa tragedia, si è immedesimata anche con l’angoscia di un uomo annientato.

C’è una inchiesta in corso e ci sono responsabilità da accertare. Sulla dinamica dell’incidente, è evidente che qualcuno ha sbagliato e che non può essere stata la signora Monica Rita Azzu. Mentre si aspetta l’esito delle indagini, sembra che l’opinione pubblica abbia capito la fuga impossibile dopo avere guardato la sequenza del soldato e della bambina. Il giovane uomo che si allontana davanti all’orrore è la prova di quanto siamo vulnerabili. L’immagine del soldato che scavalca il guard-rail e che se ne va, sconvolto da una guerra che non sa affrontare, ci dice quanto siamo fragili quando la nostra quotidianità viene spazzata via dalle tempeste della vita. Tentare di soccorrere una bambina inerme e allontanarsi dall’orrore sono due facce della stessa medaglia. Crediamo di essere rocce e in certi momenti diventiamo polvere nel vento.

In Primo Piano
Elezioni comunali 

Ad Alghero prove in corso di campo larghissimo, ma i pentastellati frenano

Le nostre iniziative