La Nuova Sardegna

Sassari

Carabinieri, vendette in caserma: ora si attendono le mosse della Procura

di Daniela Scano
Carabinieri, vendette in caserma: ora si attendono le mosse della Procura

Sassari, bocche cucite al comando provinciale dell’Arma sulla clamorosa indagine che coinvolge sette militari della compagnia di Bonorva e della stazione di Mores che avrebbero architettato un piano di ritorsioni contro cittadini

25 aprile 2016
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SASSARI. La consegna del silenzio non è mai stata così rigida negli uffici della Procura e del comando provinciale dei carabinieri. Nessuno è disposto a parlare della inchiesta che ha coinvolto sette carabinieri della compagnia di Bonorva: due indagati per gravi reati collegati a un arresto arbitrario, altri cinque a rischio di una misura di sicurezza. Un provvedimento interdittivo che in genere viene applicato a personalità criminali che non hanno ancora commesso reati, ma che li stanno progettando e che sono socialmente pericolosi.

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Quello calato ora che la notizia dell’inchiesta è diventata di pubblico dominio non è silenzio imbarazzato, ma riservatezza rispettosa delle decisioni che devono essere prese dopo la chiusura delle indagini preliminari. Secondo le ipotesi accusatorie, infatti, nel nucleo radiomobile di Bonorva e nella stazione di Mores un gruppo di carabinieri avrebbe architettato un piano di vendette private. Spinti da un malinteso senso di “colleganza”, un sentimento che fa confondere l’appartenenza all’Arma con l’amicizia di uomini che indossano la divisa, due marescialli e cinque carabinieri avrebbero deciso di punire un gruppo di abitanti di Pozzomaggiore mettendo a segno nei loro confronti ritorsioni, controlli indebiti e altri reati. Tutto per far pagare a queste persone il fatto di avere difeso un loro compaesano, presunta vittima di un arresto arbitrario compiuto da due carabinieri. Secondo il pm Giovanni Porcheddu, titolare della indagine, l’antefatto sarebbe stato un tentato sequestro di persona culminato con un pugno sferrato a un uomo ammanettato, seguito dalle bugie raccontate per arrestare l’uomo con l’accusa falsa di resistenza a pubblico ufficiale.

Reati molto gravi, se sono stati realmente commessi, sui quali il comando provinciale dei carabinieri ha fin dal principio lavorato con grande determinazione per fare chiarezza. Dopo la svolta clamorosa, dalla cortina di riserbo che circonda la vicenda trapela che mentre erano in corso le indagini sui due, qualcuno a Bonorva e a Mores avrebbe cercato di proteggerli. Stando a questa ricostruzione dei fatti, due marescialli e tre carabinieri si sarebbero attivati per rendere la vita difficile ai privati cittadini che avevano contribuito a inguaiare i loro amici. Oltre al comandante del nucleo radiomobile di Bonorva e al comandante della stazione di Mores, l’avviso di conclusione delle indagini è stato notificato a tre carabinieri.

C’è da dire che nessun reato è stato commesso e tuttavia, cosa più unica che rara, il sostituto procuratore Porcheddu ha fatto notificare ai militari un atto che potrebbe comportare il loro allontanamento per ragioni di sicurezza delle potenziali vittime di Pozzomaggiore. Si tratta del richiamo all’articolo 115 del codice penale che prevede misure di sicurezza se c’é “accordo per commettere un reato”. Da questo momento, la difesa dei sette militari potrà confutare o eventualmente smontare le accuse. Il momento, insomma, è molto delicato. Pare che il pm avesse già chiesto il trasferimento dei due carabinieri indagati per tentato sequestro, ma che il giudice per le indagini preliminari non avesse accolto la richiesta.

Ora è probabile che il magistrato tornerà alla carica, questa volta con una lista di nomi più lunga. Ed è per rispetto del giudice e delle sue imminenti decisioni che nessuno, in Procura e in caserma, vuole parlare pubblicamente di questa storia.

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