La Nuova Sardegna

Sassari

Delitto Loi, verso la sentenza d’appello

di Nadia Cossu
Delitto Loi, verso la sentenza d’appello

Il pg: condanna a 16 anni. La difesa: la Orrù non voleva uccidere il marito. Verdetto il 15 febbraio

06 febbraio 2016
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SASSARI. Ha concluso la discussione davanti ai giudici della corte d’appello (presieduta da Plinia Azzena) reiterando la richiesta del giudizio di primo grado: sedici anni di reclusione. Il pubblico ministero Carlo Scalas aveva impugnato la sentenza della corte d’assise di Sassari che a novembre del 2014 aveva condannato Marina Gavina Orrù a otto anni e otto mesi di reclusione per l’omicidio del marito Mario Loi avvenuto nella loro casa di Caniga a luglio del 2013. Per il sostituto procuratore non si trattò di un omicidio preterintenzionale – così come invece lo inquadrarono i giudici di primo grado – ma di omicidio volontario.

Secondo la corte d’assise, invece, quando il 17 luglio del 2013 Marina Orrù, 50 anni, colpì con un coltello il marito Mario Loi nella loro casa di via Caniga, non aveva intenzione di ucciderlo. Usò il coltello per ferirlo ma non voleva che morisse. Dopo cinque ore di camera di consiglio i giudici della corte d’assise presieduta da Pietro Fanile avevano pronunciato la sentenza: otto anni e otto mesi con le attenuanti generiche equivalenti e lo sconto di un terzo della pena per via del rito abbreviato. Il pm, ritenendo che invece la Orrù (difesa dagli avvocati Agostinangelo Marras e Letizia Doppiu Anfossi) avesse ammazzato volontariamente il marito in preda a un raptus di gelosia, aveva chiesto per lei 16 anni di reclusione.

Nelle motivazioni della sentenza i giudici avevano scritto nero su bianco che «la morte di Mario Loi non è stata cagionata da un’aggressione deliberata, perpetrata vis à vis, con plurime coltellate, da una donna “in preda alla furia omicida”... ma si è prodotta nel corso di una specie di colluttazione che – sorta durante un acceso litigio – aveva come obiettivo l’impossessamento di un telefono cellulare e dei suoi presunti segreti. Nel quadro ricostruttivo della corte non trova collocazione di un intento omicida: per il contesto, per la posizione reciproca dei protagonisti, per le caratteristiche dell’unico colpo, per ogni altra modalità dell’azione». E proprio sulla posizione di marito e moglie al momento del delitto si è soffermato ancora una volta l’avvocato Marras ieri mattina: «La Orrù ha sempre reso una versione costante dell’accaduto. Lei stava davanti e lui dietro e le tracce di sangue sulla parte posteriore della manica destra sono una ulteriore dimostrazione del fatto che la coltellata inferta non poteva avere un volontario intento omicida».

I giudici di primo grado nelle motivazioni avevano anche descritto la personalità della Orrù: «Una donna insoddisfatta e gelosa ma che certo non voleva né desiderava la fine del matrimonio né, tantomeno, la morte del marito... Dopo i fatti, i testimoni hanno parlato di una donna disperata, abbracciata al marito morente, che si prodiga in tutti i modi per aiutarlo e lo implora di non morire».

La sentenza è prevista il 15 febbraio.

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