La Nuova Sardegna

Sassari

Due case piene di storie, solidarietà e amore

di Giovanni Bua
Due case piene di storie, solidarietà e amore

Le strutture vincenziane ospitano decine di donne in difficoltà. La presidente: serve l’aiuto di tutti

02 febbraio 2016
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SASSARI. Appeso al muro di Casa San Vincenzo c’è un cartellone con tante foto. Raccontano da dove questo instancabile gruppo ha iniziato: uno scantinato buio e sgarrupato, ricevuto in comodato d’uso dal Comune nel 2004 e, in dieci anni, più volte entrato e uscito dalle liste dei beni in dismissione. Un rudere che dopo tanto lavoro (e sei camion di immondizia portati via) è diventato più bello di un castello. Un comodo salottino all’ingresso, tre stanze impilate, ognuna con tre letti e un bagno. Un piccolo ascensore, dono della Fondazione Banco di Sardegna, a rendere meno pesanti quelle notti in cui gli spettri del passato bussano più forte, e arrampicarsi sulle scale diventa impresa impossibile.

Una casa piena di scale e di storie da cui sabato sono usciti Maria Ausilia ed Enrico. Lei, ospite del rifugio, mamma di una ragazza di 15 anni e un bimbo di 10 anni. Lui, muratore e volontario nella struttura dei vincenziani, che dentro la casetta in via Maddalena l’ha conosciuta, amata, sposata.

Ora i quattro, aiutati dall’infaticabile team di volontari guidato da Vittoria Giua e Antonio Marras, stanno cercando, anche grazie ai tanti regali ricevuti, una casa in città, dove iniziare la vita nuova di zecca che coraggio e amore gli hanno donato. Un finale da favola, che dà energia per tutte quelle storie che così bene magari non finiscono, ma che comunque meritano di essere vissute.

E proprio per non perdere il filo di tutto questo che la presidente Vittoria Giua fa uno strappo alla nota discrezione vincenziana, vera anima dell’approccio che fa sentire queste persone, “espulse” dalla vita, accolte e mai giudicate: «A volte sembra che non tutti sappiano che ci sono le nostre porte a cui bussare – spiega – eppure per noi è evidente che potremmo fare di più. Sia chiaro il Comune ci aiuta tanto, la gente è generosa, circoli culturali, ristoranti e bar donano tutte le settimane pietanze di ogni tipo, ci sono giovani che si avvicinano a far volontariato e ci fanno riempire il cuore. Ma diciamo che se avessimo un po’ di spazio, qualche risorsa in più, economica e umana, sapremo come usarla. Poi è chiaro che non è un bel periodo per nessuno, capiamo. E continuiamo». Prova ne sia che l’impegno invece che calare è raddoppiato. Al rifugio notturno di via Maddalena nel 2012 si è aggiunta la diurna Casa Elena, all'interno della Casa Divina Provvidenza in via Taddei. Una grande sala inventata nella vecchia lavanderia ormai in disuso che si affaccia su un cortile-giardino, una cucina. Al piano di sopra una stanza sempre provvisoriamente piena di qualcuno. E poi finestroni e tende bianche, tv, seggiole e divani, asse e ferro da stiro. Tutto quel che serve perché una donna possa trovarsi a casa, in barba alle regole che vogliono questo luogo di passaggio per brevi periodi. Una casa dove prender fiato quanto serve, per poi ricominciare. E perché no, come Maria Ausilia ed Enrico, provare a volare.

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