La Nuova Sardegna

Sassari

La società sassarese Abinsula vince con gli oggetti intelligenti

Alessandro Pirina
La società sassarese Abinsula vince con gli oggetti intelligenti

La Sardegna che cresce: l’azienda fattura tre milioni di euro sfruttando le opportunità dell’informatica di nicchia

02 dicembre 2015
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SASSARI. Le loro professionalità avevano fatto breccia in mezzo mondo. Il loro curriculum aveva convinto società italiane e straniere a sceglierli come consulenti. Ma a un certo punto Paolo Doz, Stefano Farina, Andrea Maddau, Pierluigi Pinna e Andrea Sanna, tutti ingegneri tra i 25 e i 40 anni, il primo torinese e gli altri quattro sardi, hanno deciso di unire le forze per creare qualcosa di nuovo. Per dare vita a una realtà d’impresa giovane e dinamica che spazia nei campi del web, mobile, smart tv e sistemi embedded. E soprattutto hanno scelto di farlo in Sardegna, molto lontana dalla Silicon Valley. Abinsula è una realtà che in tre anni è arrivata a conquistare una posizione di leader tra le aziende accreditate nel mondo automotive per la capacità di innovazione tecnologica. Con tre sedi tra Sassari, Cagliari e Torino, 45 tra dipendenti e collaboratori e un fatturato di tre milioni di euro.

Le origini. «Il nostro investimento è stato pari a zero – racconta il Ceo Andrea Sanna –. Abbiamo attivato solo una carta di credito e abbiamo preso un po’ di contatti in giro per il mondo. Siamo andati a cercare clienti in quei mercati non colpiti dalla crisi, come Stati Uniti e Giappone. E soprattutto ci siamo comportati come brave massaie: tutto quello che abbiamo guadagnato lo abbiamo reinvestito. All’inizio erano tutti scettici, dalle banche al nostro commercialista, ma noi ci abbiamo creduto fin dall’inizio».

Start-up. La società, dunque, supera brillantemente la fase di partenza e da Sassari va alla conquista dei mercati di riferimento nazionali e internazionali con i suoi software per dispositivi embedded (o integrati). Fin da subito i cinque giovani ingegneri puntano al mercato globale, ma senza mai intaccare il legame con il territorio, evidenziato dalla stessa scelta del nome. Abinsula, in latino ab insula, ovvero dall’isola. «Un nome che sottolinea la volontà di lavorare nella nostra terra e dalla nostra terra».

Informatica di nicchia. La società sassarese ha deciso di puntare sull’informatica meno comune, quasi di nicchia. «I dispositivi embedded – spiega Sanna – sono tutti quei dispositivi dotati di elettronica che comunemente usiamo: lavatrice, frigorifero, televisore, elettrocardiogramma, centraline controllo auto, decoder, console video giochi. Spesso siamo portati a pensare che l’informatica sia solo nei computer. In realtà la stragrande maggioranza di elettronica e del software è impiegato nei dispositivi integrati. La crescita del mercato di questi dispositivi è esponenziale. Anche gli oggetti che prima eravamo abituati ad utilizzare in maniera “stupida” stanno piano piano diventando “intelligenti”. Un esempio? Il frigorifero che rileva se le pietanze al suo interno sono scadute o ci avvisa che il latte sta finendo».

Automobili. Il software ideato da Abinsula per le sue caratteristiche si adatta benissimo a questi dispositivi. Negli ultimi anni il mercato che maggiormente ha richiesto l’utilizzo delle tecnologie Abinsula è stato quello dell’automobile. A maggio 2015 la società sassarese è entrata a fare parte del consorzio Genivi, che annovera tra i suoi aderenti i principali produttori di auto (Bmw, Gm, Jaguar-Land Rover) e componentistica (Bosch, Magneti Marelli). Il software di Abinsula non è però solo per il mondo delle quattro ruote ma si adatta perfettamente ad altri domini, da quello dei dispositivi medicali ai trasporti.

Oggetti intelligenti. Con il software esistente di Abinsula è possibile rendere intelligenti anche oggetti che per loro natura non lo solo. «La nostra sfida attuale è quella di mettere in relazione gli oggetti tra loro affinché, “parlandosi”, possano operare al meglio. Un esempio: la pompa di irrigazione di un campo di grano non entra in azione se la stazione delle previsioni meteo la avvisa che da lì a poche ore pioverà. Oppure un chip inserito nei capi di abbigliamento che permette di garantire l’autenticità e la non contraffazione dello stesso vestito oltre che fornire dati riguardanti i passi fatti e la localizzazione del capo in caso di smarrimento. Quando due o più oggetti “parlano”, creando una rete, si parla di Internet of things, Internet delle cose, ovvero internet non più al servizio dell’uomo ma come strumento per la comunicazione degli oggetti. Per questo stiamo lavorando alla realizzazione di una piattaforma software che permetta a tutti gli oggetti dotati del software Abinsula di poter comunicare tra loro e di essere controllati attraverso i comuni smart-phone».

Partnership e investimenti. È indispensabile, però, che gli oggetti operino in sicurezza e che le informazioni che raccolgono e diffondono siano verificate e certe. Per questo Abinsula ha da poco acquisito la maggioranza di una società di sicurezza informatica molto attiva nel campo della cyber-security, “Abissi”. Un altro importante investimento di Abinsula è stato entrare nel capitale sociale di Lifely, una start-up nota per aver realizzato un vaso wi-fi in grado di scambiare informazioni con il proprio proprietario tramite i social network. Per esempio se la pianta non viene innaffiata, sarà lei a chiederti l’acqua con un tweet. «In realtà la mission di Lifely è più ampia. Il suo scopo è quello di creare un linguaggio non più solo per far parlare gli oggetti tra loro, ma per mettere in comunicazione gli oggetti con gli esseri umani tramite canali di comunicazione classici, come i social».

«Abissi e Lifely – conclude Sanna – sono due aziende strategiche per Abinsula perché permettono di rafforzare la nostra offerta per le sfide del futuro quando le città intelligenti saranno il presente».

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