La Nuova Sardegna

Sassari

La difesa: «Manca deve essere assolto»

di Gianni Bazzoni
La difesa: «Manca deve essere assolto»

L’avvocato Asole: «Processo solo indiziario. Il diritto alla libertà vale per tutti, chi non ha detto la verità ha creato problemi»

17 novembre 2015
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SASSARI. Assoluzione per non avere commesso il fatto e - in subordine - assoluzione sulla base di quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 530 del Codice di procedura penale (sarebbe l’ex insufficienza di prove: viene pronunciata quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato). Queste le richieste dell’avvocato Salvatore Asole che - nel processo bis per il sequestro dell’allevatore di Bonorva Titti Pinna - difende Giovanni Maria “Mimmiu” Manca (l’altro imputato è Antonio Faedda, difeso da Gian Marco Mura), alla corte presieduta da Pietro Fanile, a latere Teresa Castagna

Ha parlato per quasi quattro ore il legale e ha scelto di seguire - in larga parte - lo stesso percorso dell’accusa, arrivando ovviamente a conclusioni diverse se si considera che il pubblico ministero Gilberto Ganassi ha chiesto, nell’udienza precedente, la condanna a 30 anni di reclusione per Manca e a 24 per Faedda.

I dubbi. Ha cominciato dalle domande e dai dubbi, l’avvocato Asole. «Dovete raggiungere certezze giuridiche – ha detto rivolto alla corte – e qualora residui anche un minimo dubbio siete tenuti ad assolvere». E parlando di diritto alla libertà - che deve essere garantito a tutti - il difensore di Manca ha richiamato le dichiarazioni rese in aula da Titti Pinna: «Io non so se sono loro i colpevoli – ha ricordato il legale – dovete stabilirlo voi».

Le verità nascoste. L’avvocato Asole si è soffermato molto su quei testimoni che «hanno negato persino l’evidenza, senza capire che così facendo hanno solo aggiunto problemi per il mio assistito. Bastava dire la verità, non c’erano motivi per fare diversamente. Invece, l’imprenditore Piredda sapeva che Manca aveva il Kangoo il giorno del sequestro, che era a Bonorva e la sera era andato a riconsegnarlo a Nulvi. Ha negato, perché? E poi la grande fuga dallo spuntino di Bonorva dove tutti si sono defilati. E con le bugie hanno corso il rischio di inguaiare una persona (Manca in questo caso) accusato di un reato infame come il sequestro di persona».

Indizi e prove. «É un processo indiziario – ha sottolineato Asole – non ci sono prove, lo ha detto lo stesso pm. La differenza reale con il primo processo è che Salvatore Atzas è stato arrestato e condannato perché trovato con l’ostaggio in casa. Ma l’altro imputato, Natalino Barranca, alla fine è stato prosciolto dai giudici della Cassazione».

Telefonata chiave. Quella chiamata fatta da Manca a Faedda (con il telefonino di quello che poi è diventato uno dei testimoni più significativi, Carlo Cocco), che secondo l’accusa annuncia l’arrivo del gruppo di prelievo, per l’avvocato Asole è priva di un significato preciso. «Come faceva Manca a sapere da che parte era andato Titti Pinna quel pomeriggio del 19 settembre 2006? Non era abitudinario, l’ha detto lui stesso: quindi c’erano pronti due gruppi di prelievo a seconda del percorso da seguire? Non è credibile, anche perché Faedda non fa parte del trio che sequestra Pinna. É lo stesso ostaggio a fare la descrizione dei rapitori, escludendo sia Manca che Faedda».

Il Kangoo. Per il difensore, non esiste certezza che il mezzo utilizzato quel giorno da “Mimmiu” Manca sia lo stesso impiegato per trasportare Titti Pinna dal primo cambio macchina fino all’ovile “dei maialetti” di Lochele. «Pinna racconta di essere stato sistemato nel bagagliaio, dentro una specie di gabbia, ma quel Kangoo non aveva una struttura simile (e produce le foto, ndc). Tra l’altro il rapito ha detto di avere sentito sbattere lo sportello quando lungo il tragitto sale una persona, ma le portiere di quel veicolo sono scorrevoli. Infine, l’assenza di tracce ematiche (che neanche il Ris ha rilevato) e questo nonostante Titti Pinna fosse ferito al naso, fratturato con il calcio di una pistola, e perdesse sangue».

Carlo Cocco. Il difensore di Manca ha puntato molto, poi, su Carlo Cocco, testimone chiave del processo bis, definendolo inattendibile «anche perché nelle versioni fornite - anche sui partecipanti allo spuntino di Bonorva - ha riferito cose diverse e contrastanti». E Manca non lo avrebbe mai minacciato: «Il consulente che ha ascoltato le intercettazioni sostiene che non è stato percepito alcun tono minaccioso, era la conversazione tra due conoscenti».

Padre Pinuccio. Anche in questo capitolo, l’avvocato sottolinea che l’unica certezza è che il religioso è andato all’incontro con i banditi a Mulargia «ma non vi è certezza che sia stato Manca a mandarcelo. Gli incontri con il capitano Musumeci - che riferisce questo - non sono stati registrati. E il frate parla di una persona anziana, arrivata in chiesa, molto spaventata. Solo successivamente dice che sarebbe stato l’ufficiale a pronunciare il nome di “Mimmiu” Manca».

La famiglia. Rispetto per Titti Pinna, al quale Asole ha rivolto le scuse per qualche domanda-battuta durante l’esame in aula, ma anche per la famiglia del suo assistito, presunto innocente. «Da quasi due anni la moglie e le tre figlie aspettano che torni a casa, in ballo c’è il diritto fondamentale alla libertà. L’accusa ha chiesto 30 anni, non un giorno o un mese: se esiste la prova certa è una pena giusta, ma io ho dimostrato che non è così. E se rimane anche un solo ragionevole dubbio, allora assolvete Manca e restituitelo ai suoi familiari». Prossima udienza il 23 novembre con l’arringa dell’avvocato Gian Marco Mura per Faedda, poi il 3 dicembre le repliche e la camera di consiglio per la sentenza.

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