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Chi ha la “104” ha diritto al trasferimento, sentenza storica a Sassari

di Daniela Scano
Chi ha la “104” ha diritto al trasferimento, sentenza storica a Sassari

I giudici annullano un articolo del contratto nazionale di lavoro del settore Scuola. Impiegata ottiene il cambio di sede per curare il figlio. La corte d’Appello: l’articolo 7 sulla mobilità lede una norma imperativa

04 ottobre 2015
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SASSARI. Il contratto integrativo nazionale della scuola non può subordinare alle esigenze organizzative dell’amministrazione il diritto al trasferimento di sede, stabilito dalla legge 104 del 1992, del dipendente che assiste un familiare disabile. Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, la corte d’appello di Sassari ha annullato l’articolo 7 del Contratto nazionale integrativo della scuola sulla mobilità del personale docente e Ata.

I giudici hanno accolto il ricorso di una impiegata sassarese, madre di un ragazzo malato, che un anno fa aveva chiesto di essere trasferita da Palau a Sassari per poter assistere il figlio residente in città. Il trasferimento era stato negato ed era nato un lungo contenzioso, nel quale la donna è stata assistita dagli avvocati della Uil Scuola, Nanni Campus ed Ettore Fais. In un primo momento il tribunale aveva dato torto all’impiegata, ma la sentenza è stata ribaltata in appello. Le motivazioni del secondo verdetto sono state depositate in cancelleria nei giorni scorsi. Il collegio – composto dal presidente Francesco Mazzaroppi e dai giudici Maria Teresa Spanu e Maura Nardin – ha pienamente condiviso la tesi degli avvocati del sindacato.

Secondo i giudici, il contratto nazionale della scuola viola la norma imperativa fissata dall’articolo 33 della legge 104 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili. I giudici hanno riaffermato che la norma tutela interessi primari costituzionalmente garantiti i quali «non possono essere disattesi – hanno scritto – nel nome di situazioni cui la legge non assicura la medesima tutela». Tra queste “situazioni” ci sono evidentemente le, pur importanti, esigenze organizzative del comparto scuola che tuttavia «devono passare in secondo piano – hanno scritto i giudici – di fronte al diritto del disabile all’assistenza». La sentenza ha riconosciuto il diritto della madre lavoratrice ad avvicinarsi alla città di residenza per assistere il proprio figlio. L’Ufficio scolastico regionale è stato condannato a risarcire il danno alla impiegata e a pagare le spese di lite.

La donna quest’anno lavorerà nella sede scolastica da lei stessa indicata al momento del bando sulla mobilità del personale, aperto con ordinanza ministeriale del 28 febbraio 2014. L’impiegata aveva invocato l’articolo 33 della 104 che riconosce al lavoratore «il diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede». Ma la risposta dell’Ufficio scolastico era stata negativa. L’amministrazione aveva applicato il contratto nazionale di lavoro che, nella parte sulla mobilità annuale dei dipendenti, non tiene conto della legge 104 «poiché – era stata la risposta alla dipendente – tale materia è rimessa da sempre alla contrattazione integrativa annuale».

Il 15 maggio del 2015 questa impostazione era stata condivisa dal giudice del lavoro al quale la lavoratrice si era rivolta. Il tribunale aveva negato la sussistenza di un diritto assoluto del lavoratore pubblico titolare dei benefici assegnati dall’articolo 33 della 104. In altre parole, nell’ambito dei trasferimenti di sede il contratto integrativo “pesava” più della legge. In appello questo concetto è stato ribaltato a favore della lavoratrice madre, ma soprattutto del diritto di suo figlio all’assistenza.

«È indiscutibile che il contratto risponda all’esigenza di dare un ordinato assetto dell’organizzazione amministrativa – hanno scritto i giudici di secondo grado –, ma questo non comporta, come sembra affermare la sentenza di primo grado, che qualsivoglia esigenza del datore di lavoro sia idonea a comprimere il diritto del disabile, perché altrimenti questo diritto verrebbe cancellato dalla mera affermazione dell’interesse organizzativo o economico del datore di lavoro».

«La conseguenza di quanto fin qui esposto – ha concluso il collegio presieduto dal giudice Mazzaroppi – comporta l’affermazione del diritto della ricorrente all’assegnazione del primo posto disponibile, tra quelli indicati nella domanda, non assegnato a persone con diritto di priorità assoluta». Prima di affermare il diritto della impiegata a lavorare nella città dove vive il figlio, i giudici hanno annullato, per contrasto con una norma imperativa, dell’articolo 7 del contratto nazionale 2014 per la mobilità del personale docente e di tutte le norme ad esso cooordinate. La sentenza potrebbe dare il via a una valanga di ricorsi contro trasferimenti negati.

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