La Nuova Sardegna

Sassari

«Manca voleva solo dei capretti»

di Gianni Bazzoni

Antonio Faedda, uno dei due imputati, ha parlato per la prima volta in aula delle telefonate ricevute

25 settembre 2015
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SASSARI. Ha usato il tabulato telefonico per costruire il percorso di quella giornata che gli ha cambiato la vita e che, soprattutto, l’ha portato in carcere con la pesante accusa di essere uno dei componenti della banda che ha sequestrato l’allevatore di Bonorva Titti Pinna.

«Quel giorno ho parlato al telefono con Manca, ma mi ha chiamato perché voleva dei capretti per un suo amico. Sì, ho notato che ha utilizzato il cellulare di Carlo Cocco ma non mi ha sorpreso più di tanto perché li avevo visti spesso insieme». Ieri è stato il giorno di Antonio Faedda, 44 anni di Giave, al processo-bis per il sequestro dell’allevatore di Bonorva Titti Pinna. L’imputato, assistito dall’avvocato Gian Marco Mura, ha deciso di rendere dichiarazioni spontanee, e si è concentrato in particolare sulla giornata del 19 settembre 2006, quella in cui è stato messo a segno il rapimento a “Monti Frusciu”. Neppure una parola, invece, dall’altro imputato Giovanni Maria “Mimmiu” Manca (difeso da Salvatore Asole) che ha risposto scuotendo la testa alla domanda del presidente Pietro Fanile che gli ha chiesto se avesse qualcosa da riferire. La corte ha anche sciolto la riserva sulla richiesta presentata dal collegio difensivo per fare arrivare in aula il principale testimone dell’inchiesta-bis Carlo Cocco, di Bonorva, e metterlo a confronto con altre persone. L’istanza non è stata accolta perché la deposizione di Cocco non è ritenuta fondamentale ai fini del processo - una tesi sostenuta anche dal pubblico ministero Gilberto Ganassi -: il suo racconto era stato cristallizzato in fase di incidente probatorio.

Con la giornata di ieri si è conclusa l’istruttoria dibattimentale, il 30 ottobre ci sarà la requisitoria del procuratore aggiunto della Dda Gilberto Ganassi, il 5 e 6 novembre sarà la volta dei difensori (prima Asole e poi Mura), la camera di consiglio è fissata per il 12 e 13 novembre.

Le conferme. Dal mattino fino alla sera tardi. Antonio Faedda ha ripercorso tutta la giornata di quel 19 settembre di nove anni fa e, in sostanza, ha confermato le telefonate, i contatti con l’altro imputato “Mimmiu” Manca, anche se ha fornito una interpretazione opposta rispetto a quella dell’accusa.

Calados che sunu. É la frase che avrebbe pronunciato Manca nella breve comunicazione del pomeriggio. «É un detto che usiamo noi – ha raccontato Antonio Faedda – e può avere più significati. In quel caso specifico intendeva dire se ero stato in azienda. Chiamava dal telefonino di Carlo Cocco? Nessun problema per me, erano spesso insieme. Manca mi chiese se avevo dei capretti per un suo amico e io risposi che avrei controllato».

In azienda. Antonio Faedda ha ricordato di essere uscito di casa intorno alle 16 per recarsi in azienda. «Mia madre mi aveva detto di uno scaldino da riparare, prima di andare al lavoro ho contattato un tecnico mio amico e ho preso appuntamento per la sera». Durante il tragitto, l’imputato ha raccontato di essere passato davanti all’azienda degli Offeddu (tutti già sentiti come testimoni) e di essersi fermato a parlare per dieci minuti con Andrea Faedda (il testimone però non ha riferito dell’incontro). «Non so perché lui non ricorda, immagino che sia per restare fuori da una vicenda scottante».

Il cacciatore. Antonio Faedda non ha fatto nomi, ma ha riferito che alle 16.30 del 19 settembre un suo amico cacciatore è entrato nell’ovile «per controllare un volo di pernici, perché il giorno dopo era aperta la caccia. Poi lui è andato via verso Sassari e io in direzione Giave».

Il furgone a Nulvi. «Durante il viaggio ho ricevuto una telefonata da Manca, questa di 41 secondi – ha detto Faedda consultando il tabulato – e gli ho confermato che non avevo quei capretti dei quali mi aveva parlato. Poi mi ha chiesto se potevo fargli un favore: andare a prenderlo a Nulvi dove doveva restituire il furgone dell’azienda per la quale lavorava. Ho detto che avevo già la serata impegnata per una pizzata con amici, caso mai avrei potuto dargli un passaggio da Sassari».

Ultima chiamata. Per l’accusa la telefonata delle 21,42 del 19 settembre è quella che chiude la giornata, a sequestro ormai avvenuto, con Titti Pinna già nella prigione di «Su Padru» a Sedilo da dove riuscirà a fuggire, ormai allo stremo delle forze, solo dopo otto mesi. Antonio Faedda, colloca quella telefonata dell’amico in un contesto ben diverso: «Mi ha chiamato dal cellulare della figlia – ha detto l’allevatore di Giave – e anche questo non mi ha sorpreso perché è normale utilizzare il cellulare di un familiare. E Manca mi ha detto che era rientrato in paese con il nipote, quindi di non preoccuparmi che era tutto a posto». La dichiarazione di Faedda conferma quanto sostenuto dall’accusa: Manca è stato a Nulvi per restituire il Doblò aziendale della ditta Piredda ed è rientrato a Bonorva in auto con il nipote.

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