La Nuova Sardegna

Sassari

Delitto di Orune, ci sono due indagati

Delitto di Orune, ci sono due indagati

Svolta nell'inchiesta sull'omicidio dello studente di 19 anni Gianluca Monni: sotto accusa un minorenne di Nule e suo cugino

18 giugno 2015
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ORUNE. A quaranta giorni dal delitto ci sono ufficialmente due indagati per l'omicidio di Gianluca Monni, il diciannovenne di Orune ammazzato a fucilate lo scorso 8 maggio mentre aspettava il pullman nella via centrale del paese per andare a scuola a Nuoro.

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Fin dal primo momento le indagini dei carabinieri si erano concentrate su due giovani di Nule, un diciassettenne e suo cugino di 24 anni che vive a Ozieri. Ieri, mercoledì 17 giugno, la Procura della Repubblica di Nuoro e quella dei Minori di Sassari hanno disposto una serie di perquisizioni nelle abitazioni dei due giovani durante le quali sono stati sequestrati computer e altro materiale informatico che potrebbe essere di interesse per gli inquirenti.

Che la svolta fosse imminente lo si era intuito qualche giorno fa quando i carabinieri avevano controllato alcune case di proprietà dei familiari degli indagati, nella zona di Pattada.

E in ogni caso l'attenzione degli investigatori da subito si era concentrata in Goceano. Perché da quella zona proveniva un gruppo di giovani con cui Gianluca Monni e altri ragazzi di Orune avevano avuto una discussione durante una festa in paese. E in questa lite un ruolo "chiave" lo aveva avuto proprio il diciassettenne.

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Il delitto Monni sarebbe anche legato alla scomparsa di Stefano Masala, il 28enne di Nule di cui non si hanno più notizie dalla sera del 7 maggio: e anche lui era presente alla festa di Orune. La sua macchina era stata trovata a Pattada il giorno dopo la morte dello studente, distrutta dal fuoco. Una Opel Corsa come quella avvistata la mattina dell'omicidio, usata dagli assassini per raggiungere il paese della Barbagia e subito dopo abbandonata e incendiata.

Per settimane sono stati sentiti tantissimi giovani, compreso il minorenne che aveva fornito il suo alibi: «Ero in camera mia, dormivo». Alibi confermato dalla mamma del ragazzo. Ma gli investigatori non hanno mai creduto a questa versione.

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