La Nuova Sardegna

Sassari

Dopo le violenze

Centro storico, la repressione non serve

Rita Marras

31 ottobre 2014
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Ciclicamente e dopo ogni deplorevole episodio di violenza il quartiere del centro storico di Sassari diventa per qualche ora protagonista assoluto di dibattito fino poi ad uscire nuovamente dalle cronache e soprattutto dall'agenda politica delle amministrazioni comunali della città. I fatti orribilmente violenti delle ultime settimane ad opera di ragazzini "senza trama e senza finale" indubbiamente sconcertano tutti, ma, noto, "sconcertano" in particolare chi vive la città dall'alto della propria privilegiata posizione che infatti propone immediatamente interventi emergenziali di controllo sociale e repressione anziché fare una valutazione seria e dare risposte concrete sulle ragioni di tanto disagio giovanile.

Vivo e lavoro in centro da molti anni e ho scelto questo quartiere perché penso che qui ci sia una forza e una potenzialità culturale e umana straordinaria, ma terribilmente repressa e allora allo stesso modo in cui "odio gli indifferenti" odio gli ipocriti e, a Sassari ce n'è tanti, vero consigliere Carta? Lei chiede "tolleranza zero" corpi speciali di polizia che stazionino per le vie del centro senza avere la più pallida idea di cosa sia o cosa potrebbe essere il cuore di questa città, ma perché non chiamare l'esercito, le teste di cuoio, i blindati allora?

Dov'era lei in questi 20 anni quando i suoi amici al governo di questo paese facevano piazza pulita dei diritti sociali, del lavoro, dell'istruzione delle pari opportunità lasciando intere generazioni senza speranza e senza futuro? Forse che ha tollerato bene e adesso è insoddisfatto del risultato che vede?

Ma torniamo al quartiere: intanto per "ricordare" che "il centro storico" di Sassari non è soltanto piazza d'Italia, via Luzzati e piazza Azuni ma percorrendo Corso Vittorio Emanuele fino a piazza sant'Antonio si può "scoprire" che la città continua in viuzze ingarbugliate le cui case fatiscenti (per lo più di proprietà di ricche e "stimate" famiglie di sassaresi residenti nei quartieri perbene) sono affittate da lor signori a poveri cristi di tutti i colori, del cui futuro nessuno si è realmente mai preoccupato se non in termini di ordine pubblico e per incrementare in nero i propri già grassi redditi appunto.

In queste vie si intrecciano i destini di numerosi residenti di etnie diverse e di indigeni in una convivenza talvolta dura non priva di contrasti e violenza figlia soprattutto di miseria culturale oltre che economica naturalmente. Il tessuto economico di un tempo caratterizzato dal piccolo commercio e dall' artigianato è pressoché scomparso grazie a scelte politiche scellerate che hanno alimentato i “nonluoghi” del consumo fuori dalla città e delocalizzato i servizi essenziali, lasciando morire il quartiere dal punto di vista produttivo e facendolo diventare la dimora degli invisibili.

Eppure in questi anni proclami ne abbiamo sentiti tanti sul suo"rilancio", ma a parte quelli e qualche vaso di fiori nelle zone alte, non è stato investito un euro in questa direzione. Per ridare dignità a questo quartiere serve un grande investimento strutturale che ne modifichi radicalmente il futuro e che sia incentrato sul recupero architettonico e sulla rinascita culturale. Il disagio sociale non si combatte con la repressione, ma con il lavoro e la cultura.

Lavoro e cultura si possono creare solo attraverso un progetto a lungo termine che preveda il recupero totale del patrimonio abitativo, forme di incentivazione per incrementare la residenza e l' avvio di nuove attività economiche, la creazione di spazi comuni inclusivi adibiti ad uso sociale e culturale. Penso dunque sia quantomeno necessario mobilitarsi e costituire un "Comitato di quartiere" tra cittadini residenti capace di elaborare proposte nella direzione della rinascita da sottoporre all'amministrazioni e all'opinione pubblica. In mio nome dunque non azzardatevi mai a giustificare la repressione, io sono viva!

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