La Nuova Sardegna

Sassari

«Brundu non aveva movente per uccidere»

di Nadia Cossu ; di Nadia Cossu
«Brundu non aveva movente per uccidere»

Delitto di Buddusò, i legali della difesa: la sua vita era molto lontana dai rancori della campagna

28 ottobre 2014
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SASSARI. Salvatore Brundu ha 23 anni e rischia l’ergastolo perché accusato di duplice omicidio in concorso. Secondo l’accusa la mattina del 29 aprile 2011 fu lui a sparare contro il pick up della famiglia Bacciu nelle campagne di Biderosu, a Buddusò. In quell’agguato morirono due persone: Antonio Bacciu (32 anni) e suo zio Giovanni Battista (di 69). Altri due fratelli della vittima più giovane riuscirono a sopravvivere: uno si finse morto accanto al cadavere dello zio, l’altro scese dall’auto e scappò. Per quei fatti tre persone oggi rischiano il carcere a vita: Giovanni Antonio Canu, Salvatore Brundu e Gianni Manca. Dopo la requisitoria del pm e la discussione delle parti civili (con gli avvocati Lorenzo Soro e Pasquale Ramazzotti) è il turno della difesa. Ha cominciato alcuni giorni fa il legale Speranza Benenati (per la posizione di Manca) e ieri è toccato ai colleghi Claudio Mastandrea e Antonio Secci, mentre il 13 novembre si andrà avanti ancora con Secci e con l’avvocato Sara Luiu.

E proprio sulla posizione di Brundu ha avviato la sua arringa Mastandrea che è partito con un interrogativo importante: «Quale dissidio poteva esserci, tale da determinare un regolamento di conti così severo? Qual è il fatto concreto che avrebbe mosso la mano di Salvatore Brundu? La gelosia di cui parla Maria Soro? (madre della vittima Antonio Bacciu ndc). Non può essere – ha sottolineato con forza Mastandrea – Brundu aveva una vita autonoma, indipendente da quella dei cugini, lui era interessato ai cavalli, cosa gli importava dell’aumento di bestiame dei Bacciu?». E su questo ha insistito anche l’avvocato Secci: «Salvatore Brundu non era un allevatore, viveva di più dal legname, dalla campagna, dal sughero. Era estraneo alle gelosie e ai rancori dell’ambiente degli allevatori». Non avrebbe avuto, in sintesi, un movente così forte di odio da fargli imbracciare un fucile. Eppure Brundu è stato indicato in aula dal sopravvissuto Angelo Bacciu come colui che lo avrebbe inseguito e gli avrebbe sparato contro: «Eravamo compagni di classe – disse allora il teste – e dalla stazza mi sembrò proprio lui». «Attenzione ai fattori emotivi e affettivi – ha rimarcato Mastandrea a questo proposito – perché provocano una distorsione del ricordo. E il ricordo non è mai una riproduzione rigorosa della circostanza». «Saverio Bacciu (padre della giovane vittima ndc) – ha rincarato la dose Secci – era sicuro in aula che Canu, Manca e Brundu fossero gli autori di una serie di intimidazioni subìte dalla sua famiglia. Il presidente della corte gli chiede chi gli abbia fatto questi nomi e lui tace. Ma quando si parla di fatti criminosi in una deposizione così delicata, i nomi si devono fare!». E poi c’è la famosa intercettazione nella quale secondo il pm Scalas il nome di Brundu (noto in paese come Barore Chiu) come esecutore materiale verrebbe fuori chiaramente. «Bisogna leggere tutta la conversazione e contestualizzare – ha tuonato Secci – non si parlava dell’omicidio ma del ritrovamento di armi. E soprattutto si nominava un fucile remington mentre il perito balistico Madeddu ha stabilito che nell’agguato di Biderosu fu usato un Benelli».

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