La Nuova Sardegna

Sassari

Bufera in Abbanoa, i lavoratori si difendono: «Facile puntare il dito su di noi»

di Luigi Soriga
Bufera in Abbanoa, i lavoratori si difendono: «Facile puntare il dito su di noi»

Sassari, sono accusati di truffa: «Ci viene contestata un’ora e si dimentica tutto quello che facciamo in più»

21 agosto 2014
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SASSARI. Ore dieci del mattino, uffici di Abbanoa, solita scena di ordinario reclamo, solito utente più esasperato degli altri che protesta in maniera vivace. «È la nostra routine, ci abbiamo fatto il callo. Siamo abituati a fare da sparring partner. Però ieri è successa una cosa diversa, che mi ha fatto male». Quell’utente a un certo punto ha preso in mano il giornale e l’ha sbattuto in faccia all’impiegata urlando: «Ecco, siete tutti dei ladri e dei parassiti». Lei è rimasta di pietra. «Tutto questo è profondamente ingusto. Quell’addetta allo sportello è una persona integerrima, che ha sempre sputato sangue sul lavoro. Non meritava quegli insulti gratuiti e quell’umiliazione».

Indagini chiuse. Le prime dieci notifiche sono già arrivate a destinazione. Per chi l’ha ricevuta è stato un fulmine a ciel sereno, perché nonostante il clima tesissimo che si respirava in azienda, nessuno immaginava che i controlli portassero a conseguenze così estreme. L’accusa di truffa formulata dal magistrato è un vero e proprio macigno. In genere i panni sporchi si lavano in casa, con richiami, sanzioni, provvedimenti disciplinari, ma è piuttosto inusuale tirare in ballo la Procura. I dieci dipendenti “infedeli”, nella lettera che hanno ricevuto, hanno trovato delle accuse molto generiche e poco circostanziate, perché gli atti veri e propri li conosceranno più avanti. E a distanza di un anno vien male anche difendersi e produrre prove a propria discolpa. Insomma l’angoscia è insostenibile ma c’è anche l’amarezza di sentirsi scaricati, messi al muro dalla propria azienda, senza possibilità di appello. Tra tutti i settanta lavoratori della sede di Sassari c’è grande preoccupazione. Infatti gli indagati sono in tutto 27, e all’appello ne mancano quindi 17. Tra questi, oltre ai semplici impiegati, ci sono anche alcuni responsabili del distretto di Sassari: oltre ad avere essi stessi sottratto ore di lavoro all’azienda, non avrebbero controllato a dovere l’operato, le presenze e l’utilizzo dei badge del proprio personale.

L’impiegato. In azienda, dicono, chi parla con la stampa viene licenziato in tronco. Perciò l’altra campana, cioè il dipendente “fannullone”, può difendersi e raccontare la sua verità solo coperto da anonimato.

«Girava voce che il direttore generale volesse fare pulizia in azienda. Ce l’aveva a morte con i ritardatari o con chi imbrogliava con il badge. L’azienda colava a picco, ma lui coltivava comunque questa ossessione. Si vociferava anche che avesse assoldato un investigatore privato, e che ce l’avesse in particolare con Sassari. Ha sempre considerato le sedi decentrate come un’oasi di fannulloni. Ma nessuno credeva seriamente che la storia del detective potesse essere vera. Ora tra noi c’è il panico. Perché in due anni può essere capitato a chiunque di aver fatto una commissione, o aver accompagnato un figlio, o preso un caffè durante l’orario di lavoro. Ma non per questo mi sento di aver truffato l’azienda o rubato lo stipendio. Perché la direzione si dimentica che a ogni mezzora sottratta un giorno dal lavoro, corrisponde ben altro tempo regalato all’azienda senza percepire un soldo. Le reperibilità per le emergenze, i casini risolti fuori dall’orario di lavoro, le mail mandate la notte, le centinaia di telefonate. Nessuno di noi ha il tassametro, e non battiamo cassa per ogni minuto di straordinario o per le mansioni che non ci competono che, per cattiva organizzazione, dobbiamo quotidianamente risolvere. Nessuno di noi in questi anni si è mai tirato indietro, pur sapendo che certe rotture di scatole avrebbe avuto il sacrosanto diritto di evitarsele. Ma il direttore generale pretende dedizione totale, non gli interessa se spesso fai più del necessario, perché da noi tutto è dovuto, e guai a sgarrare, perché vieni fucilato all’istante. Funziona così: le ore fatte in più non contano, per un’ora in meno sei morto. Ti mette alle costole un detective, e sfido qualunque lavoratore, nell’arco di due anni, a risultare senza peccato. E nessuno mette in conto anche gli insulti che ci becchiamo ogni giorno, solo in quanto lavoratori marchiati Abbanoa, e quanto pesa il disprezzo della gente. Noi siamo quelli che riportiamo l’acqua laddove è mancata, non siamo quelli che mandano le bollette a casa. In queste ore Facebook ci mette alla gogna, gli utenti scrivono su di noi cose terribili, fannulloni, scansafatiche, licenziateli in tronco, affogateli nell’acqua gialla, senza considerare che uno, se mai ci sarà il processo, potrebbe anche discolparsi e risultare innocente. Ci additano come i responsabili delle loro fatture salate, con un linciaggio inaudito. Si fa grande confusione, si fa di tutta l’erba un fascio. Se a strisciare il badge fosse stato il dipendente di un’altra azienda qualsiasi, non ci sarebbe stato un simile accanimento. Forse solo un dipendente di Equitalia avrebbe ricevuto lo stesso nostro trattamento».

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