Maratona dei Filippidi, sfida per la vita
Una staffetta di 42 chilometri per 105 giri di pista in meno di quattro ore: la diversità unisce e aiuta a compiere l’impresa
PORTO TORRES. Il premio più bello è in quei sorrisi, negli abbracci e i batti cinque che si sprecano. La felicità di una squadra che è riuscita in una nuova impresa: percorrere i 42 chilometri e 195 metri della maratona in meno di quattro ore. Il record è dei ragazzi del Progetto Filippide, l’hanno realizzato a Porto Torres completando il percorso di 105 giri di pista. Non li ha fermati la pioggia e la temperatura autunnale di un martedì di fine luglio: sono stati i primi a presentarsi alla partenza i ragazzi che corrono perché l’autismo è una maratona, e come tale va affrontato.
Quella dei «Filippidi» è unica in Italia, in Sardegna è giunta alla terza edizione. Magliette arancio, organizzazione, semplicità, voglia di fare, tenacia e ostacoli da superare. Si corre.
Davanti sempre i ragazzi del Filippide, la regola dice che non bisogna superarli - anche perché, in effetti, non sarebbe impresa facile, visti i tempi che fanno registrare -, insieme a loro tutti gli altri. Così l’arancio si mischia con l’azzurro e il bianco, il verde e il nero, i bambini sfrecciano accanto ai più grandi. Ci sono quelli che di maratone ne hanno fatto parecchie in giro per il mondo e coloro che ogni settimana sono in gara, associazioni, ex calciatori e sportivi.
Un gruppo anomalo, si direbbe. Invece è la normalità, il percorso della vita che ti abitua a dividere la fatica, a soffrire per andare incontro all’applauso sul traguardo. Il cartello che segna i giri si aggiorna lentamente: quando vedi 10 e pensi a 105 sei portato a credere che è una impresa impossibile, che solo dei matti ci possono sperare. Invece corri, poi esci e passi il testimone ad un altro. Si fa così, e si collezionano chilometri su chilometri. A tirare il gruppo sempre loro, quei ragazzi e ragazze che quando hanno cominciato - anni fa - facevano cinquanta metri e si fermavano disperati, senza respiro. E oggi corrono, ti guardano perché tu fai fatica a seguirli. Poi una ragazza ti tende la mano, dice che ce la fa, che vuole arrivare al traguardo insieme a te. È un messaggio senza barriere, un modo semplice per dire come una sfida si può vincere anche senza una parola, oppure urlando a squarciagola, magari ballando davanti al tabellone contagiri.
Si corre, ci si ferma per cambiare turno, si riparte. Il “trenino” umano non smette mai di girare, viaggia dalle 18. I ragazzi del Filippide manifestano i sentimenti ciascuno in modo differente: c’è chi non riesce a stare fermo, chi si sposta in un angolo, chi parla al microfono dello speaker, chi canta o simula una esibizione alla batteria. È una squadra che spinge al massimo per realizzare l’impresa.
Ci sono giri nei quali la velocità è insostenibile, il cuore sembra scoppiare, per fortuna poi si cambia e si può andare anche a un passo più accessibile. Si chiama integrazione, un fenomeno che unisce attraverso la corsa di fondo: i medici dicono che le performance sulle lunghe distanze diminuisce atteggiamenti iperattivi e stereotipati e porta un maggiore controllo di se stessi e una percezione personale del gruppo più reale. Si corre come una squadra.
Poco più di tre anni fa Paolo, un ragazzo autistico aveva aperto una porta correndo - insieme al suo allenatore-amico Massimiliano - la maratona del deserto, a Sharm El Sheikh. Oggi è un atleta che fa registrare tempi incredibili, gareggia con i normodotati. Attraverso quella porta sono passati in tanti. È nata una squadra di atletica che può correre 42 chilometri e 195 metri in meno di quattro ore. Così si vince una sfida, senza trofei. Per un applauso e un abbraccio.
©RIPRODUZIONE RISERVATA