La Nuova Sardegna

Sassari

Maratona dei Filippidi, sfida per la vita

di Gianni Bazzoni
Maratona dei Filippidi, sfida per la vita

Una staffetta di 42 chilometri per 105 giri di pista in meno di quattro ore: la diversità unisce e aiuta a compiere l’impresa

01 agosto 2014
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PORTO TORRES. Il premio più bello è in quei sorrisi, negli abbracci e i batti cinque che si sprecano. La felicità di una squadra che è riuscita in una nuova impresa: percorrere i 42 chilometri e 195 metri della maratona in meno di quattro ore. Il record è dei ragazzi del Progetto Filippide, l’hanno realizzato a Porto Torres completando il percorso di 105 giri di pista. Non li ha fermati la pioggia e la temperatura autunnale di un martedì di fine luglio: sono stati i primi a presentarsi alla partenza i ragazzi che corrono perché l’autismo è una maratona, e come tale va affrontato.

Quella dei «Filippidi» è unica in Italia, in Sardegna è giunta alla terza edizione. Magliette arancio, organizzazione, semplicità, voglia di fare, tenacia e ostacoli da superare. Si corre.

Davanti sempre i ragazzi del Filippide, la regola dice che non bisogna superarli - anche perché, in effetti, non sarebbe impresa facile, visti i tempi che fanno registrare -, insieme a loro tutti gli altri. Così l’arancio si mischia con l’azzurro e il bianco, il verde e il nero, i bambini sfrecciano accanto ai più grandi. Ci sono quelli che di maratone ne hanno fatto parecchie in giro per il mondo e coloro che ogni settimana sono in gara, associazioni, ex calciatori e sportivi.

Un gruppo anomalo, si direbbe. Invece è la normalità, il percorso della vita che ti abitua a dividere la fatica, a soffrire per andare incontro all’applauso sul traguardo. Il cartello che segna i giri si aggiorna lentamente: quando vedi 10 e pensi a 105 sei portato a credere che è una impresa impossibile, che solo dei matti ci possono sperare. Invece corri, poi esci e passi il testimone ad un altro. Si fa così, e si collezionano chilometri su chilometri. A tirare il gruppo sempre loro, quei ragazzi e ragazze che quando hanno cominciato - anni fa - facevano cinquanta metri e si fermavano disperati, senza respiro. E oggi corrono, ti guardano perché tu fai fatica a seguirli. Poi una ragazza ti tende la mano, dice che ce la fa, che vuole arrivare al traguardo insieme a te. È un messaggio senza barriere, un modo semplice per dire come una sfida si può vincere anche senza una parola, oppure urlando a squarciagola, magari ballando davanti al tabellone contagiri.

Si corre, ci si ferma per cambiare turno, si riparte. Il “trenino” umano non smette mai di girare, viaggia dalle 18. I ragazzi del Filippide manifestano i sentimenti ciascuno in modo differente: c’è chi non riesce a stare fermo, chi si sposta in un angolo, chi parla al microfono dello speaker, chi canta o simula una esibizione alla batteria. È una squadra che spinge al massimo per realizzare l’impresa.

Ci sono giri nei quali la velocità è insostenibile, il cuore sembra scoppiare, per fortuna poi si cambia e si può andare anche a un passo più accessibile. Si chiama integrazione, un fenomeno che unisce attraverso la corsa di fondo: i medici dicono che le performance sulle lunghe distanze diminuisce atteggiamenti iperattivi e stereotipati e porta un maggiore controllo di se stessi e una percezione personale del gruppo più reale. Si corre come una squadra.

Poco più di tre anni fa Paolo, un ragazzo autistico aveva aperto una porta correndo - insieme al suo allenatore-amico Massimiliano - la maratona del deserto, a Sharm El Sheikh. Oggi è un atleta che fa registrare tempi incredibili, gareggia con i normodotati. Attraverso quella porta sono passati in tanti. È nata una squadra di atletica che può correre 42 chilometri e 195 metri in meno di quattro ore. Così si vince una sfida, senza trofei. Per un applauso e un abbraccio.

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