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Sassari

Morì contro un’autobotte, genitori risarciti dopo vent’anni

di Gianni Bazzoni
Morì contro un’autobotte, genitori risarciti dopo vent’anni

Sassari, il ministero pagherà un milione e mezzo di euro. Il ragazzo era su un motorino finito contro un mezzo dei vigili del fuoco

26 luglio 2014
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SASSARI. Un ragazzino di 18 anni morto nella notte tra il 2 e il 3 settembre del 1995 a seguito delle lesioni riportate in un incidente stradale. Il motorino - sul quale viaggiava insieme a un coetaneo - era finito contro un’ autobotte dei vigili del fuoco che procedeva con lampeggianti e sirena in funzione. Ci sono voluti vent’anni per accertare le responsabilità e avere una sententenza che i familiari di Massimiliano Valluzzi hanno cercato senza mai arrendersi: la prima sezione civile della corte d’appello di Cagliari ha condannato il ministero dell’Interno al pagamento di circa un milione e mezzo di euro per risarcimento del danno patrimoniale, morale e relazionale da corrispondere ai genitori e alle tre sorelle di Massimiliano Valluzzi.

Una lunga storia - di quelle che si ritrovano spesso nelle aule giudiziarie - cominciata dopo l’incidente e che aveva visto l’archiviazione in sede penale (su richiesta del pubblico ministero). Il 16 febbraio 2000 il tribunale di Sassari aveva dichiarato la propria incompetenza per territorio (essendo coinvolto il ministero dell’Interno, la sede preposta doveva essere quella di Cagliari). Il processo cominciò il 13 ottobre dello stesso anno e il 30 novembre del 2004 la domanda per l’accertamento delle responsabilità dell’incidente e al risarcimento dei danni per la morte dello studente di 18 anni venne rigettata.

I familiari di Massimiliano Valluzzi hanno deciso di andare avanti e - affidandosi all’avvocato Giuseppe Benzoni - hanno proposto appello. Da allora sono passati dieci anni e il pronunciamento dei giudici della corte d’appello di Cagliari ha segnato un punto a loro favore: la sentenza di primo grado è stata riformata e stabilito che «la responsabilità del conducente dell’autobotte sia largamente prevalente su quella del motociclista». In sostanza, i giudici hanno attribuito il 70 per cento di colpa all’autista del mezzo dei vigili del fuoco e il 30 per cento al ragazzo che guidava il motorino. Dopo i rilievi dell’incidente, eseguiti dalla polizia stradale, la situazione non evidenziava un quadro completo e obiettivo.

Massimiliano Valluzzi, figlio di un sovrintendente di polizia, quella notte percorreva con il motorino via Carlo Felice (sulla moto un coetaneo). L’autobotte dei vigili del fuoco - diretta in via Coradduzza per un intervento di emergenza - procedeva in senso contrario, lo scontro si verificò mentre il camion del 115 svoltava a sinistra. Il ragazzo morì poche ore dopo l’incidente.

La fase degli accertamenti lasciò qualcosa in sospeso, specie per quanto riguarda la possibilità di dimostrare situazioni che vennero date per acquisite seguendo una logica interpretazione.

Insomma, se anche aveva i segnalatori di emergenza in funzione, l’autobotte dei vigili del fuoco non poteva tagliare l’incrocio svoltando a sinistra senza azionare l’indicatore di direzione. E non è risultato vero - secondo quanto emerge dalla sentenza - che il ragazzo con il motorino superò un’auto ferma al centro della carreggiata per consentire il passaggio del mezzo di soccorso. Proprio dalle testimonianze, infatti, era emerso che l’auto si fermò più avanti, in uno slargo, e quindi il motorino procedeva senza modificare direzione. Così come non è stato dimostrato che chi guidava il motorino indossasse le cuffiette per ascoltare la musica, trovate sul luogo dell’incidente. Le prove testimoniali ammesse nel giudizio di secondo grado sono risultate determinanti per il pronunciamento dei giudici.

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