La Nuova Sardegna

Sassari

Una strana morte, due sentenze opposte e nessun contrasto

di Daniela Scano
Una strana morte, due sentenze opposte e nessun contrasto

Il giudice Franco Pilo interpreta il caso Erittu con i codici «Ecco perché bisogna aspettare per dire la parola fine»

27 giugno 2014
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SASSARI. Una volta, a un avvocato petulante che gli ricordava il clamore mediatico scatenato da un processo che stava celebrando, rispose secco: «I giudici non leggono i giornali». Un paradosso, per far capire che in camera di consiglio devono entrare solo le carte processuali e non l’emozione popolare. Franco Pilo, storico presidente della sezione penale del tribunale sassarese, è in pensione da sette anni ma non ha cambiato opinione. «La mia era una battuta – spiega – per dire che il giudice deve sempre sottrarsi alla pubblica opinione, che non può in alcun modo influenzare le sue decisioni. E questo discorso vale a maggior ragione per i giudici popolari».

Abbiamo chiesto a Franco Pilo di interpretare, da addetto ai lavori, lo strano caso del processo per la morte di Marco Erittu. Una vicenda che a suo tempo suscitò clamore mediatico e che ora sta facendo discutere. Due sentenze raccontano verità antitetiche sulla morte, avvenuta il 17 novembre del 2007, del detenuto sassarese nella sua cella di San Sebastiano. La sua fine venne inizialmente archiviata come suicidio, ma anni dopo Giuseppe Bigella raccontò ai magistrati della Dda che quella sera nella casa circondariale si erano incrociati due grandi misteri degli ultimi decenni: il sequestro-omicidio del farmacista di Orune Paoletto Ruiu, la sparizione del ventenne di Ossi Giuseppe Sechi. Un lobo dell’orecchio di Sechi era stato recapitato alla famiglia di Ruiu. Prima ancora dell’esame del Dna, a svelare il macabro e crudele inganno fu il fatto che entrambi i padiglioni auricolari arrivati alla famiglia Ruiu erano dello stesso lato. Marco Erittu raccontava in giro, da anni, di conoscere i retroscena di quelle brutte storie. «L’ho ucciso io – rivelò Bigella – su ordine di Pino Vandi che era coinvolto nell’omicidio Sechi. Con me c’era Nicolino Pinna e l’agente Mario Sanna ci aprì la cella».

Il gup di Cagliari ha condannato Bigella a 14 anni, mentre la corte d’assise di Sassari non ha creduto al sedicente pentito e nei giorni scorsi ha assolto tutti gli imputati che l’uomo chiamava in correità. Insomma, nella sentenza cagliaritana Marco Erittu è stato ucciso, in quella sassarese si è suicidato oppure ha trovato la morte mentre compiva l’ennesimo gesto dimostrativo. Il presidente Pilo non trova niente di strano in due verdetti inconciliabili. «Non c’è alcun contrasto – spiega – perché una sentenza è passata in giudicato e l’altra no, quindi potrebbe essere confermata oppure riformata». Però è singolare che l’omicidio da una parte venga considerato un fatto acclarato e dall’altra sentenza non esista. «Non c’è ancora contraddizione – insiste il giudice –. Per capire meglio bisogna aspettare le motivazioni dell’assise. Fatta questa premessa, a Cagliari non c’era evidentemente alcuna ragione perché il giudice dovesse mettere in dubbio le parole dell’imputato. Il racconto di Bigella era verosimile e ha retto al controllo che di certo è stato fatto». «Del resto – prosegue l’ex presidente della sezione penale –, dopo avere escluso un caso di mitomania, per quale ragione il gup avrebbe dovuto dubitare davanti a un imputato che si autoaccusava di un omicidio? Inoltre non bisogna dimenticare il fatto che il gup di Cagliari era chiamato a valutare la sola posizione processuale di Giuseppe Bigella. Non era suo compito verificare le chiamate in correità fatte dall’imputato, cosa che è stata invece fatta a Sassari».

La corte d’assise presieduta dal giudice Pietro Fanile è rimasta fuori dalla cella numero 3 dove morì Marco Erittu. I giudici si sono fermati prima, hanno soppesato le parole del sedicente pentito e dopo avere cercato i riscontri le hanno evidentemente trovate niente altro che parole non supportate (o non del tutto) dalle altre prove. Il giudice cagliaritano che ha condannato Giuseppe Bigella a 14 anni di reclusione, invece, in quella cella è “entrato” e ha creduto al reo confesso.

Con la formula «il fatto non sussiste», la corte d’assise sembra escludere che quel delitto sia stato commesso... «Se anche fosse, e ripeto bisogna aspettare le motivazioni della sentenza – risponde il giudice –, non sappiamo se la corte d’assise ha ragione. E non lo sapremo fino a quando il processo non sarà definito. Ecco perché secondo me enfatizzare una sentenza è sempre un errore: questa nei successivi gradi di giudizio può essere confermata o riformata in mille modi. Non sarà questo il caso, ma potrebbe accadere. Quindi bisogna aspettare».

Concetto difficile da comprendere, in una società che consuma le storie con la rapidità di un clic al computer e di un titolo di giornale. La verità processuale invece si forma e si disfa con anni di dibattimenti e di udienze e di giudici che cambiano il corso dei destini degli imputati. I tempi della giustizia, le sue parole, le sue molteplici e a volte contradditorie verità, seguono percorsi differenti da quelli della vita “normale”. Nei tribunali Marco Erittu è morto in due modi diversi, entrambi drammatici. E Bigella dovrà assistere per anni tutte le altre tappe del processo agli uomini che ha accusato. Assassino fino a prova contraria.

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