La Nuova Sardegna

Sassari

Rita Nonnis: «Qui dentro ho capito di essere un medico»

Rita Nonnis: «Qui dentro ho capito di essere un medico»

Ha indossato il camice da giovanissima per curare i carcerati «Ho vissuto i sei anni più importanti della mia vita»

23 marzo 2014
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SASSARI. Era laureata da appena sei mesi quando è entrata per la prima volta a San Sebastiano con il camice bianco. La dottoressa dei carcerati per sei lunghi anni: dal 1983 al 1989. Ha visto passare per l’istituto di via Roma personaggi criminali di grosso calibro, ha visitato detenuti mafiosi diretti all’Asinara, ma guai a chiederle nomi: «Il segreto professionale dura tutta la vita».

Rita Nonnis, oggi affermato chirurgo nelle cliniche universitarie San Pietro, ieri mattina aveva gli occhi lucidi: «Qui ho capito di essere un medico». E lo dice con convinzione, la stessa che ha quando sostiene che quelli «sono stati gli anni più importanti della mia vita», professionale e non. Quando la dottoressa Nonnis arrivò a San Sebastiano, in carcere era stata allestita anche una sala operatoria, che durò poco: «Feci interventi di appendicite, ernie inguinali, utilizzammo la sala per circa un anno e mezzo». Poi venne chiusa perché la gestione era troppo complicata e poco compatibile con una struttura di quel tipo.

Ricorda gli interventi più frequenti: «Inghiottivano soprattutto le lamette, ma nello stomaco dei detenuti trovammo anche pezzi di antenne della radio». Il problema umano era fortissimo: «Ho imparato sul campo cosa sia la simulazione. Fingevano di star male perché così andavano in infermeria e parlavano col medico, l’unico modo per avere un contatto “esterno”. Oppure speravano di essere trasferiti in ospedale per accertamenti». Per non parlare, poi, dei gesti di autolesionismo: «Ciò che non potevano sfogare all’esterno lo sfogavano dentro di sè». Ecco perché parla di «emozione fortissima» nel rivedere dopo tanto tempo quei luoghi. L’infermeria, le celle, il degrado delle docce, l’aria gelida della rotonda, qualche quadro appeso al muro per dare una parvenza di umanità a un posto che tutto ti faceva sentire fuorché un uomo come gli altri: «Ci adattavamo – ha detto a proposito un altro ex detenuto, Lorenzo Spano – perché l’uomo si adatta. Fossimo stati animali non sarebbe successo». E ha ben ragione Rita Nonnis quando, riferendosi al carcere, dice: «Questa è la parte oscura del mondo. Un mondo forte, ricco, un mondo di separazione netta dalla realtà. Ecco perché qui ho imparato a vivere». Perché ha avuto modo di conoscere l’altra faccia della medaglia, ha toccato con mano il dolore dei “colpevoli”. E anche dei tanti che hanno riconosciuto i propri errori – come Roberto e Lorenzo – e che oggi hanno voglia di voltare pagina. Finalmente. «Ma se la società non ti dà una mano – dicono loro – e sei disperato, ricaderci è un attimo». (na.co.)

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