La Nuova Sardegna

Sassari

La lectio magistralis di Valerio Onida sulla pena e sui diritti

La lectio magistralis di Valerio Onida sulla pena e sui diritti

«Questo è il simbolo negativo dei luoghi di detenzione» Sicurezza e rieducazione sono elementi convergenti

22 marzo 2014
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SASSARI. «Perché in questo posto non possiamo fare parlare il professor Onida, magari sul tema “Pena, carcere e costituzione?”». La riflessione di Luigi Manconi, senatore sassarese, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, non è caduta nel vuoto. E Maria Grazia Piras, presidente regionale del Fai, racconta com’è nata l’idea di invitare il professore emerito di Diritto costituzionale, giudice e presidente della Corte costituzionale. Settantotto anni il prossimo 30 marzo, padre sardo e madre siciliana, Valerio Onida non ci ha pensato due volte e ieri pomeriggio si è presentato puntuale nella rotonda del carcere di San Sebastiano. Doveva tenere quella che è stata definita una orazione, invece per i presenti è stata una vera e propria lezione sul carcere e la scommessa della rieducazione, sulla pena e le garanzie sociali, sulla Costituzione.

«Mi fa piacere parlare qui a Sassari, in questo luogo che può essere definito il simbolo di come non deve essere un carcere. Perché in realtà il carcere dovrebbe essere della città che non deve mai dimenticare un pezzo della sua vita».

Il professore tocca il principio di legalità, dice che non c’è reato se non c’è legge. Sottolinea che «deve essere chiaro che cosa puoi o non puoi fare, e quali sono le conseguenze». Insomma, la legge non può lasciare incertezze applicative, deve essere precisa. E solo ciò che la legge vieta può essere reato. Poi la responsabilità penale «che è personale», tanto che «nessuna sanzione può essere applicata all’individuo per una azione che non si collega alla sua responsabilità personale». Valerio Onida procede a braccio, quella lezione tenuta tra le mura del vecchio carcere di San Sebastiano sarebbe stata ascoltata con interesse dai detenuti trasferiti a Bancali. Ecco la questione della condanna in contumacia, che ancora esiste nel nostro ordinamento. «In realtà dovrebbe essere limitata a un solo caso, quando l’imputato sceglie volontariamente di non presentarsi al processo. Altrimenti dovrebbe essere abolita». E poi la vita come bene supremo, un valore così alto che non può ammettere la pena di morte che «per fortuna nessuno stato d’Europa applica». Quindi la tortura usata come pena, per fare soffrire le persone: per evidenziare il reato, il professore ricorda le vicende del G8 di Genova del 2001. E sulle pene ribadisce che «devono tendere alla rieducazione del condannato, perché è incostituzionale quella pena non compatibile con la rieducazione». Così - per il professor Onida - sicurezza e rieducazione sono due elementi convergenti, non contrastanti. E il problema vero è: quale carcere? «Può dare moltissimo a livello educativo a seconda di come è organizzata la sua vita interna. La rieducazione è un percorso fatto di opportunità e di garanzie sociali da cogliere». (g.b.)

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