La Nuova Sardegna

Sassari

Strage di Nassiriya, segno di gratitudine dello Stato per Sini

di Gianni Bazzoni
Strage di Nassiriya, segno di gratitudine dello Stato per Sini

Al carabiniere di Porto Torres l’onorificenza assegnata alle vittime del terrorismo. Premiati altri tre militari sardi

02 febbraio 2014
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SASSARI. Anche se cerchi di non pensarci ti ritorna sempre in mente. Una strage come quella di Nassiriya non si dimentica facilmente, specie se lì hai perso colleghi e amici, hai visto morire bambini innocenti e hai rischiato di non tornare più.

Pietro Sini, appuntato dei carabinieri in congedo, sassarese ma da tempo residente a Porto Torres, l’altra mattina ha capito che lo Stato non si è dimenticato di chi ha dato tutto se stesso in una missione che - ancora oggi - non è conclusa ed è costata già troppe vittime. A Palazzo Barberini, a Roma, nel circolo ufficiali, alla presenza dei sottosegretari alla Difesa e dell’Interno, Gioacchino Alfano e Domenico Manzione, ha ricevuto - insieme ad 38 militari - la medaglia d’oro concessa alle vittime del terrorismo (insieme a lui anche i sardi Clemente Cossu, Alessandro Mereu e Nicolino Satta).

Per il carabiniere si tratta di un riconoscimento importante, non solo per il valore di quel simbolo (le onorificenze sono state introdotte con il Decreto del 6 maggio 2008 e vengono conferite dal presidente della Repubblica), ma soprattutto perchè quell’atto pubblico del Governo mette a posto una verità che, finora, era stata un po’ offuscata, in certi casi persino condita con una indifferenza che ha portato alcuni a negare l’evidenza dei fatti. Pietro Sini, al rientro in Patria, aveva raccontato gli aspetti di una tragedia generata con quel carico di 300 chili di tritolo fatto esplodere davanti alla base Maestrale. E lui, fra i primi a intervenire e ad adoperarsi per soccorrere i feriti, alla fine si era stancato delle incomprensioni e di tutte le stranezze che quella strage si è portata dietro, specie in terra italiana. E così aveva deciso di fare parlare le immagini: reali, crude, per certi versi terribili.

«Mi aspettavo almeno una pacca sulle spalle – aveva detto il 12 novembre dello scorso anno, giorno della commemorazione della strage – qualcuno che mi dicesse che in fondo avevo fatto semplicemente il mio dovere. Non volevo complimenti da nessuno, invece la storia del carabiniere-eroe ha creato una marea di problemi a me e alla mia famiglia, specie dopo che mi sono presentato a testimoniare».

Pietro Sini si è difeso con l’onore e la forza di chi è abituato a combattere e la morte l’ha vista in faccia un paio di volte. E quella risposta dallo Stato l’ha cercata con caparbietà, senza pietire, con la dignità di chi sa come sono andate le cose a Nassiriya.

La medaglia d’oro - repertorio 306, con il suo nome inciso - consegnata dal sottosegretario Manzione alla presenza del comandante generale dell’Arma dei carabinieri Leonardo Gallitelli e del capo di Stato maggiore della Difesa Luigi Binelli Mantelli, è una luce pulita che si riaccende per Pietro Sini. Anche perchè nella sala gremita c’erano anche diversi familiari di militari caduti che hanno ritirato l’onorificenza assegnata ai loro cari in un clima di grande commozione.

«Cerimonie come quella di oggi – ha detto il sottosegretario Alfano – hanno l’obiettivo di tramandare un’etica e una coerenza di valori che danno speranza ai giovani e all’intera nazione». E nel suo intervento, il sottosegretario Manzione ha sottolineato l’importanza del ruolo dei militari a livello internazionale «per dare alle popolazioni che non ce l’hanno un minimo di speranza».

Quella medaglia è un senso di gratitudine dello Stato per quanti sono caduti o sono rimasti feriti, per il loro servizio a favore del bene comune.

«Ho fatto la mia parte sino in fondo – ha detto ieri Pietro Sini – senza risparmiarmi mai, come deve fare un carabiniere. Oggi, a distanza di più di dieci anni da quell’attentato c’è la conferma che io ho detto sempre la verità e sono a posto con la mia coscienza».

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