La Nuova Sardegna

Sassari

Antonello Pagliei: «È la droga che ha archiviato i sequestri»

di Gianni Bazzoni
Antonello Pagliei: «È la droga che ha archiviato i sequestri»

Il questore di Sassari da domani va in pensione, il bilancio di una lunga carriera a combattere la malavita

30 gennaio 2014
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di Gianni Bazzoni

SASSARI.. Sembrerà strano, ma gli anni passati da questore gli sono scivolati addosso. Racconta di non essersene quasi accorto, forse perchè in fondo resta un poliziotto di strada. O di campagna. Uno sbirrro che conosce la Sardegna come le sue tasche, l’ha girata giorno e notte da un capo all’altro, sino a percorrere 500 chilometri senza fermarsi. Estate e inverno, le stagioni non facevano differenza quando nelle mani delle bande c’erano sequestrati da riportare a casa e latitanti con i quali giocare sfide infinite.

Antonello Pagliei, l’investigatore più preparato ma anche più riservato e poco disponibile a farsi immortalare dalle telecamere, da domani va in pensione. Lascia la polizia da questore di Sassari, la città che lo ha accolto per quasi vent’anni e da dove, comunque, non ha intenzione di andare via se non per brevi periodi.

Cominciamo dai ricordi, si fa sempre così...

«Quelli che rimangono più impressi nella memoria sono legati agli anni trascorsi in strada e in campagna, insieme ai miei uomini. Quando la nostra attività investigativa era rivolta a risolvere una ventina di sequestri di persona, a penetrare l’intricato mondo delle faide, alla cattura o alla costituzione di latitanti. Erano circa una trentina all’epoca, oggi risultano azzerati».

Un’altra Sardegna rispetto a quella di oggi?

«E’ vero, e quando sento parlare di allarme criminalità non posso fare a meno di pensare a quegli anni drammatici per tutti. Erano situazioni di emergenza. Basta un solo dato: le tredici persone sotto sequestro in contemporanea in una sola estate, i cui autori poi sarebbero stati processati a Sassari nella palestra bunker».

Si riferisce al periodo dell’Anonima gallurese?

«Sì, seguivo tutte le udienze. Un susseguirsi di testimonianze, relazioni, scontri dialettici tra i magistrati e i più accreditati avvocati. Per me è stata una scuola di ulteriore approfondimento della materia, mi ha permesso di conoscere persone, parentele, legami. Tutte cosee che mi sono tornate molto utili in seguito».

I sequestri che considera più difficili da dimenticare tra quelli di cui si è occupato?

«Quello del piccolo Farouk e di De Angelis sicuramente, anche per la loro complessità. Spesso nei rapimenti si intrecciavano le stesse persone. Allora c’erano i latitanti che avevano testa: lucidi e intelligenti, sapevano gestire le bande».

Mesina stava per farle un sequestro a Sassari da poco. Una figura che ritorna dopo le polemiche sulla liberazione di Farouk?

«Di quella storia non dico più niente. Parlano i fatti e tutti possono capire come sono andate le cose. Una volta ci invitarono in una scuola, me e lui per parlare agli studenti. L’incontro saltò all’ultimo momento, ma è sicuro che non ci sarei andato».

Oggi ci sono altre emergenze da affrontare...

«Alcuni fenomeni sono tipicamente propri dell’Isola, come gli atti intimidatori agli amministratori (da noi una decina di casi nel 2013). Poi c’è la lunga sequela di atti incendiari di auto, a macchia di leopardo e senza alcun nesso logico. I moventi sono tra i più disparati».

Spesso c’entra la droga?

«Ha raggiunto anche i centri più piccoli. É diventato il primo problema da contrastare, anche se è una battaglia difficile da vincere, perchè è il motore che muove gran parte della delinquenza locale. Non ci sono raffinerie e gli ovili non sono centrali di traffico come qualcuno fuori dalla Sardegna ha sostenuto di recente. Purtroppo è vero che negli ovili non si trova più solo del buon filu e ferru ma capita di scoprire anche altro. E la droga ha archiviato i sequestri di persona».

C’è una generazione di giovanisimi a rischio?

«Per la droga si commettono rapine e furti. Troppi ragazzi, specie nel fine settimana, assumono sostanze sintetiche a basso costo o mix di alcolici».

Per giustificarsi si tira fuori la crisi. E’ credibile?

«Alcuni episodi, forse, sono anche figli della crisi. Altri sono conseguenza della ricerca spasmodica di denaro, a volte per acquistare una sola dose di droga. Vedi le rapine ad personam verso piccoli esercenti. Non ci sono organizzazioni deliquenziali, ma non possiamo sottovalutare alcune rapine ai furgoni portavalori e, da ultimo, a un istituto di vigilanza nel Nuorese».

Le inchieste più recenti che restano impresse?

«Sono soddisfatto che a Nuoro siano stati portati a processo i presunti responsabili degli omicidi Fiori e Dore, due donne sarde uccise senza pietà».

E a Sassari?

«Mi è rimasto il rammarico per non avere scoperto l’assassino di Alina Cossu, la studentessa di Porto Torres. Ma si sta lavorando e sono fiducioso che si possa dare una risposta, anche per recuperare alcune leggerezze degli anni passati».

Troppe tragedie in giro per la Sardegna...

«Ogni tanto mi tornano davanti agli occhi i morti di Curraggia, Portisco e Porto San Paolo. Quei sopralluoghi non li dimenticherò mai. Così come i morti dell’alluvione di Olbia: il mio pensiero va a tutte quelle vittime e ai loro familiari».

L’ultima domanda: mafia e racket esistono in Sardegna?

«Registriamo episodi spesso slegati tra loro. A volte dietro c’è un metodo mafioso con il quale si tenta di soddisfare singole richieste. In altri casi si agisce per ritorsione. L’amministratore pubblico - per esempio - per il suo ruolo è costretto a imporre norme e decisioni che non sempre vengono comprese e condivise. Così diventa bersaglio di vendette dirette o trasversali: molti ancora pensano di farsi giustizia da soli, la considerano più immediata di un ricorso al Tar».

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