La Nuova Sardegna

Sassari

Denuncia choc: «Dimenticati i postini uccisi dall’amianto»

di Nadia Cossu
Denuncia choc: «Dimenticati i postini uccisi dall’amianto»

Sassari, il racconto di un ex portalettere che ha vinto la battaglia contro il cancro: i miei colleghi morti non hanno avuto giustizia

17 gennaio 2014
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. «Lavoravamo in mezzo all’amianto e nessuno di noi lo sapeva. Ci hanno nascosto tutto». Quello di Gianni Cabizza, 61 anni, postino in pensione, è un racconto choc: «Un giorno, nel 1997, mentre eravamo negli uffici di via XXV aprile, abbiamo visto delle persone con una tuta bianca e una maschera sul viso che estraevano l’amianto. Ci passavano a fianco, all’epoca ero in archivio. Ci trovavamo in un ambiente a rischio e hanno permesso che continuassimo a lavorare in mezzo a quei veleni».

La sua, comprensibilmente, è «una battaglia per la giustizia» che va avanti da tempo e che di certo non è finita quando il giudice, nel 2006, ha archiviato l’inchiesta nei confronti di diciassette indagati per omicidio colposo e lesioni colpose plurime, tutti funzionari che si sono avvicendati ai vertici delle Poste sarde tra il 1994 e il 1998. Le indagini non riuscirono infatti a provare che l’amianto fosse la causa dei tumori diffusisi negli anni Novanta tra i postini di Sassari.

Quelli “con la tuta bianca” – di cui parla Cabizza – erano i dipendenti delle ditte incaricate del monitoraggio dei locali dove era presente l’amianto, su ordine del Ministero. «Loro stessi ci dicevano di andare via ma noi non potevamo farlo. Erano state estratte tonnellate di amianto. Il direttore ci disse che la Asl aveva autorizzato la bonifica». Ma Cabizza è sicuro che aver respirato le polveri abbia avuto conseguenze devastanti. L’ex portalettere di Sassari, oggi che “la questione” torna d’attualità (il Comune ha annunciato che spenderà 500mila euro per la bonifica dall’amianto di scuole e altri edifici sparsi nella città e nelle borgate) si chiede ancora con maggiore forza perché i suoi nove colleghi morti di cancro non abbiano ottenuto giustizia. E lo fa lui che la battaglia contro un tumore al pancreas ha avuto la fortuna di vincerla. «Ma i miei amici no – spiega con le lacrime agli occhi – Uno di loro mi è apparso in sogno qualche tempo fa e mi ha detto: “Vai avanti!”. E io lo farò». Andare avanti, per il momento, può significare soltanto questo: far sentire la propria voce e gridare al mondo che «solo dei criminali potevano autorizzare la bonifica dei locali delle Poste di via XXV aprile mentre il personale ci lavorava dentro».

La rabbia è tanta, ancora oggi: «La verità dov’è? Perché a noi lavoratori non è stata riconosciuta la tabella rischio? Poste Telecomunicazioni sapeva quali sostanze erano presenti lì dentro. Perché non ci hanno informato e perché non hanno regolarizzato la nostra posizione con l’Inail? L’avvocato Luigi Soggiu, legale dell’associazione “Esposti all’amianto” di cui io stesso faccio parte non è riuscito ad acquisire la documentazione rilasciata dalle ditte che eseguirono le bonifiche negli anni Novanta. Tutto scomparso nel nulla». E si fa una domanda, Cabizza: «Perché le bonifiche in quell’edificio di via XXV aprile (chiuso da qualche tempo ndc) continuano ancora oggi, a distanza di sedici anni? Se i valori, come dissero, erano a norma, come mai hanno bonificato? Quei sacchi bianchi fuori dallo stabile, con la sigla che identifica i rifiuti pericolosi, la dicono lunga su come realmente stanno le cose».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
Il caso

Sassari, palazzina pericolante: sgomberate dodici famiglie

di Paolo Ardovino
Le nostre iniziative