La Nuova Sardegna

Sassari

Doppiette “in esilio”, esplode la protesta

di Mauro Tedde
Doppiette “in esilio”, esplode la protesta

Federcaccia attacca la Asl per la revoca delle autorizzazioni dovuta alla peste suina a Nulvi e in altri 12 comuni

14 gennaio 2014
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NULVI. La prima domenica da migranti dei cacciatori di Nulvi e delle aree interdette alla caccia dopo l’ultimo focolaio di peste suina ha fatto lievitare le proteste, in particolare per quanto riguarda la revoca delle autorizzazioni alla caccia al cinghiale nelle zone limitrofe al comune di Nulvi, interessate da presenza di peste suina africana. «Un provvedimento assurdo e contrario anche al buonsenso», lo ha definito Paolo Mancaleoni, presidente della Federcaccia di Sassari e Olbia- Tempio, che rappresenta circa 6.000 cacciatoti iscritti delle due provincie. La Federcaccia critica il provvedimento della Asl con il quale sono state revocate le autorizzazioni all’esercizio della caccia al cinghiale in deroga nei comuni di Nulvi, Osilo, Cargeghe, Chiaramonti, Laerru, Codrongianus, Martis, Ploaghe, Sassari, Sedini, Sennori e Tergu e nelle zone oggetto di accertamento di focolai di peste suina, entro la distanza di 10 chilometri.

«Il diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività venatoria riguarda ben 32 compagnie di caccia grossa, composte da circa 750 cacciatori e le giornate di caccia precluse sono dunque 6 - spiega Mancaleoni -, ma il provvedimento è assurdo da un punto di vista sanitario, ingiustamente punitivo per chi ha pagato per esercitare l’attività venatoria e ha sempre collaborato con le autorità, sia sanitarie che di polizia preposte al controllo, discriminatorio rispetto ad altre zone dell’isola nelle quali il problema peste suina è presente da anni. Il diffondersi della malattia può essere evitato esclusivamente incrementando il numero degli abbattimenti dei capi infetti e in grado di diffondere ulteriormente il virus. Non a caso nelle aziende interessate dai focolai viene disposto l’abbattimento non solo dei capi infetti ma di tutti quelli che ne sono venuti a contatto. La chiusura della caccia al cinghiale, portatore del virus, nelle zone infette comporterà un’inevitabile incremento delle positività al virus proprio in virtù della maggiorata presenza nel territorio interessato dei selvatici, perché si costituisce di fatto un’immensa zona di rispetto venatorio dove oltre ai capi presenti troveranno rifugio altri selvatici scacciati dalle zone limitrofe. A tutt’oggi non va inoltre dimenticato che soltanto pochi capi selvatici sono stati trovati positivi (e distrutti) a fronte di un numero comunque rilevante ed elevato di controlli, su un territorio assai vasto grazie alla collaborazione dei cacciatori. Per altro le positività al virus sono state accertate esclusivamente nel territorio di Nulvi, per cui il divieto generico di caccia esteso territorialmente si mostra incomprensibile ed immotivato. La peste suina affligge ormai da decenni aree geografiche dell’isola che si estendono da nord a sud e che ci convivono adottando misure sanitarie di controllo che prevedono si la caccia controllata e autorizzata in deroga ma non la chiusura».

In pratica, secondo la Federcaccia sarebbe necessaria non una riduzione della attività venatoria, ma un incremento per contenere il nomadismo dei selvatici e il numero dei potenziali soggetti infetti. «Inoltre - continua Mancaleoni - l’inconsistenza delle motivazioni sanitarie pregiudica le aspettative di chi ha provveduto al versamento delle somme per l’esercizio dell’attività venatoria e il provvedimento è ingiustamente afflittivo nei confronti di chi ha sempre prestato massima collaborazione ponendo a disposizione gratuita la propria opera per l’esecuzione delle analisi ed il conferimento dei campioni da analizzare». Federcaccia ritiene pertanto doverosa la riapertura della attività venatoria al cinghiale, auspicando per le motivazioni, anche di ordine sanitario, un incremento dei giorni consentiti e il recupero di quelle recentemente precluse.

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