La Nuova Sardegna

Sassari

Le orchidee selvatiche annientate dai diserbanti

di Mauro Tedde
Le orchidee selvatiche annientate dai diserbanti

Biologo di Nulvi lancia l’allarme dopo uno studio accurato delle conseguenze su flora e fauna dei prodotti chimici usati per ripulire le cunette dalle erbacce

09 febbraio 2013
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NULVI. Perché l’Anas si ostina ad utilizzare i diserbanti chimici quando ormai si è consapevoli dei danni che produce alla salute degli ecosistemi e a quella dell’ uomo? È la domanda che si pone Mirko Piras un giovane biologo nulvese autore di uno studio che ha evidenziato la scomparsa delle orchidee selvatiche che crescevano nelle cunette stradali e sulle scarpate, ma anche delle splendide fioriture che caparbiamente spuntavano in questi luoghi di nessuno. «È una grande perdita, non solo per gli occhi - commenta Mirko Piras -, ma la cosa drammatica sta nel fatto che questo è solo uno dei molteplici effetti sull’ambiente di questa pratica pericolosa. Nonostante le rassicurazioni che i produttori di diserbanti forniscono riguardo la loro pericolosità non mancano i risultati che dimostrano il contrario. I danni diretti causati dagli erbicidi contenenti glifosate (brevetto Monsanto scaduto una decina di anni fa), principio attivo maggiormente utilizzato, riguardano sia la fauna e la flora selvatica che noi uomini». «Due recenti studi – prosegue il biologo –dimostrano gli effetti letali dei diserbanti sugli anfibi e su come l’erbicida induca modificazioni morfologiche in questi vertebrati, risultando tra i principali responsabili della loro drastica diminuzione in natura. Preoccupanti sono inoltre i risultati degli studi che evidenziano la tossicità sulle cellule della placenta dei prodotti a base di glifosate anche a dosi più basse della comune diluizione a scopo agricolo. È stata inoltre osservata la correlazione con malattie tumorali del tipo linfomi non-Hodgkin».

Piras evidenzia inoltre che, durante lo spostamento del bestiame c’è un’alta probabilità che l’erba venga brucata dagli animali, creando non pochi problemi alla loro salute e a quella del latte che producono. «A conferma della permanenza degli erbicidi nell’ambiente ci sono i risultati delle analisi delle acque superficiali effettuate dall’Ispra nel 2008 - spiega il giovane studioso - dai quali emerge una contaminazione diffusa da parte del glifosate e del suo metabolita Ampa (acido aminometilfosfonico). Insomma, ce ne sarebbe abbastanza per bandirlo». «Ma questi sono solo gli effetti diretti – prosegue Mirko Piras –, esistono però anche effetti indiretti che non vanno assolutamente sottovalutati. La vegetazione delle cunette svolge un’azione fitodepurativa dagli inquinanti prodotti dal transito dei veicoli che con la pioggia vanno a finire proprio in questi canali e, in assenza di un “filtraggio” da parte della vegetazione, vengono trasportati tali e quali nei ruscelli o nelle falde. Gli erbicidi compromettono la stabilità delle scarpate su cui vengono impiegati, dato che, in assenza di radici, queste sono soggette ad erosione e frane. La vegetazione, utilizzando riduce l’effetto serra, lasciare lingue di terra nuda lunghe decine e decine di chilometri, non giova di certo al nostro clima. Il diserbo chimico favorisce piante come la parietaria ed alcune annuali i cui pollini sono fortemente allergenici. Le spontanee presenti lungo i margini stradali sono fonte di cibo per insetti ed altri animali utili anche negli ecosistemi agrari. A tutto questo si somma l’impatto estetico devastante. Insomma, alla fine, vale realmente la pena utilizzare questi prodotti, quando gli unici a trarre vantaggio dal loro utilizzo sono le multinazionali che li commerciano? Sarebbe sufficiente dare uno sguardo alla scheda di sicurezza dei prodotti che lo contengono per comprendere che si tratta di una sostanza estremamente pericolosa». «Per queste ragioni è doveroso contrastare questa pratica - conclude Mirko Piras - magari pressando anche le amministrazioni comunali affinché trovino degli strumenti per non far utilizzare nel proprio territorio questi prodotti e, perché no, far si che il corpo forestale si interessi all’argomento».

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