La Nuova Sardegna

Sassari

G8, i pm a caccia dei soldi sporchi della cricca

di Pier Giorgio Pinna
G8, i pm a caccia dei soldi sporchi della cricca

Dopo il sequestro di 32 milioni, sigilli a due palazzine riconducibili al costruttore legato alla Cricca

15 aprile 2012
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ROMA. La caccia ai soldi sporchi del gruppo Anemone ha seguito lo schema tracciato da Giovanni Falcone. «Seguite i flussi di denaro, arriverete ai crimini e a chi lo commette», raccomandava ai suoi investigatori il magistrato che poi sarebbe stato ucciso da Cosa Nostra nella strage di Capaci. Praticando le stesse strade il pool di pm romani ha ricostruito il metodo seguito da società che riconducono al costruttore legato alla Cricca e ai lavori per il G8 mancato alla Maddalena.

Metodo – stando sempre alle accuse – molto semplice: con fatturazioni false e documentazione parallela alle carte ufficiali, venivano create provviste per pagare mazzette ai complici e garantirsi fondi per altri investimenti. Dalla nuova inchiesta avviata nella capitale è così venuto fuori che, proprio con questa strategia d’azione, solo nel caso della Sardegna l’imprenditore Diego Anemone e il fratello Daniele avrebbero messo da parte 20 milioni facendo lievitare i costi delle opere per il summit nell’arcipelago sardo. E li avrebbero poi riutilizzati per iniziative su altri fronti nel Lazio.

Su questi aspetti, e sull’intero filone di controlli finanziari e tributari, è stato adesso fissato un altro vertice tra inquirenti, dopo il maxisequestro di beni per 32 milioni ai danni di società riferibili ai due fratelli, alla moglie di Diego Anemone e a uno zio. Il procuratore aggiunto Alberto Caperna, i sostituti Roberto Felici, Ilaria Calò e Sabina Calabretta e gli uomini del nucleo valutario della Finanza, guidato da Virginio Pomponi, faranno il punto della situazione nei prossimi giorni. Anche con l’obiettivo, spiegano, «di organizzare le linee di prosecuzione dei riscontri probatori».

Per il momento, durante il fine settimana, i sigilli sono stati apposti a due palazzine, con piscine annesse, di proprietà della Società Sportiva Romana (riconducibile alla famiglia) e a una quantità di altri immobili e terreni. L'inchiesta ruota su un giro di fatturazioni fasulle per 20 milioni.

Quindici gli indagati. Tra loro – oltre a Diego Anemone, personaggio chiave nella più ampia inchiesta sui cosiddetti Grandi Eventi, e il fratello del costruttore – Lorenzo e Filippo Balducci, figli di Angelo, l’ex presidente del Consiglio dei lavori pubblici, già finito sotto accusa insieme ai due imprenditori romani e ad altri 16 imputati eccellenti nel processo per gli appalti gonfiati che comincerà il 23 aprile a Perugia: alla sbarra anche una donna, Regina de Fatima Profeta, accusata di avere reclutato prostitute per serate a sfondo sessuale.

Sempre in settimana, invece, i difensori di Diego Anemone impugneranno davanti al Riesame di Roma il provvedimento di sequestro, firmato dal gip Nicola Di Grazia, invocando l'insussistenza dei reati contestati.

Reati sui quali al contrario gli investigatori sembrano avere idee chiare. I bilanci del gruppo che fa capo agli Anemone sono stati setacciati a lungo. I finanzieri sono partiti dall'analisi del personal computer in uso a Daniele Anemone, individuato nell'ambito di una verifica amministrativa. Sono state così spulciate le attività dell'Impresa Anemone Costruzioni srl e delle società collegate.

Nel pc un file, denominato Elenco commesse e contenente 400 nominativi e luoghi, ha consentito di fare luce sui cantieri. Nella lista figurano, ad esempio, appalti per opere svolte all'ospedale Spallanzani a Roma o nell’abitazione di via del Fagutale dell'ex ministro Claudio Scajola, sempre nella capitale.

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