La Nuova Sardegna

Blindati, scontro sulle intercettazioni 

di Mauro Lissia

Cagliari. Durissima offensiva della difesa al processo per gli assalti ai portavalori

24 giugno 2017
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CAGLIARI. «Così non si può andare avanti, questo processo rischia di diventare una tragedia»: parole del presidente del tribunale Ermengarda Ferrarese, alla seconda caldissima udienza del dibattimento pubblico con 31 fra presunti componenti e fiancheggiatori della banda che attaccava i furgoni blindati e i caveau delle compagnie portavalori, un dibattimento che non decolla e che rischia di trasformarsi in un tormentone di questioni giuridiche. L’udienza di ieri, in un’aula della Corte d’Assise affollata di pubblico e rovente per l’assenza di aria condizionata, è andata avanti fino al tardo pomeriggio fra sospensioni, ordinanze e un confronto tra il presidente Ferrarese e i difensori che ha sfiorato più volte i toni aspri. Basato in gran parte sulle 45 mila pagine di intercettazioni, con una lista annunciata di 165 testimoni, il processo dovrebbe servire a ricostruire in tribunale gli episodi criminali di cui il pm Danilo Tronci accusa la banda capeggiata da Giovanni Olianas. Ma è proprio sull’enorme fonte di prova costituita dalle intercettazioni che ieri si è nuovamente accesa la battaglia fra la Procura e la schiera dei difensori: chiamato in aula Davide Carboni, vicecapo della squadra mobile di Cagliari e responsabile della sezione criminalità organizzata, il pm Tronci contava di fargli raccontare le origini e il cammino dell’inchiesta, condotta insieme alla squadra mobile e alla polizia tributaria di Nuoro. Sono stati i riferimenti alle conversazioni registrate a scatenare la reazione, a tratti durissima e insistente, della difesa: l’avvocato Herika Dessì e poi i colleghi Leonardo Filippi, Paolo Pilia, Marcello Caddori e Francesco Lai hanno sostenuto con forza che norme processuali alla mano il contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali può entrare nel dibattimento solo attraverso le trascrizioni elaborate dai periti, perché ogni voce, ogni parola, ogni termine dialettale dev’essere chiaro oltre ogni ragionevole dubbio. In mancanza di queste garanzie - hanno sostenuto gli avvocati - la prova è illegittima e quindi nulla.

Il presidente Ferrarese ha respinto con un’ordinanza la serie di eccezioni, cui hanno aderito tutti gli avvocati, citando pronunciamenti recenti della Corte di Cassazione e rimandando al controesame del testimone qualsiasi contestazione sull’attendibilità delle prove. Ma la perentorietà del provvedimento non è bastata a sedare le proteste, col magistrato impegnato a gestire le interruzioni da parte dei legali fino alla decisione di togliere la parola a tutti. In mezzo a questa battaglia, il dirigente della polizia di Stato ha cercato di seguire il filo del racconto seguendo le domande del pm Tronci, ed è stato un compito davvero arduo illustrare i passi fondamentali dell’inchiesta partita del 2012 senza poter fare alcun riferimento al contenuto delle intercettazioni. In un modo o nell’altro Carboni ha spiegato che l’indagine è nata da elementi raccolti in altre inchieste per riciclaggio. Con un’attività silenziosa e discreta, polizia e Guardia di Finanza hanno pian piano messo in luce i personaggi che si riveleranno centrali del procedimento, da Giovanni Olianas a Luca Arzu. Hanno seguito i loro movimenti, gli incontri, le conversazioni, i viaggi in Corsica e a Venezia, i passaggi ad Arzachena dov’era in progetto - così ha riferito Carboni - un colpo al caveau di una società di vigilanza. Col passare dei mesi sono saltate fuori auto rubate, da usare per gli assalti. Denaro macchiato d’inchiostro nel portafogli di Arzu, recuperato durante una perquisizione. E si è composto lentamente il puzzle dell’inchiesta. Si va avanti lunedì prossimo.

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