La Nuova Sardegna

Era stanco di nascondersi si arrende nipote di Mesina 

di Mauro Lissia
Era stanco di nascondersi si arrende nipote di Mesina 

L’orgolese, latitante dal marzo 2016, ha deciso di costituirsi alla polizia

30 maggio 2017
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CAGLIARI. La latitanza di Antonello Mesina, nipote del più celebre Graziano, è finita: sott’accusa come componente della banda che assaltava i portavalori in giro per la Sardegna e sfuggito alla cattura quattordici mesi fa, il ventiseienne orgolese si è costituito alle squadre mobili di Cagliari e Nuoro in un luogo imprecisato delle campagne di Montes e dovrebbe partecipare come uno dei trentuno imputati al processo di Sassari, che sta per aprirsi. Tra perquisizioni a persone vicine e monitoraggi, la polizia gli stava addosso. L’ha ammesso lui stesso quando gli agenti sono andati a prenderlo dopo una serie di contatti indiretti: «Ormai non valeva la pena di restare alla macchia» avrebbe detto. Polo scura, jeans e scarpe sportive, Mesina ha teso i polsi senza tradire emozioni ed è stato condotto a Badu ’e Carros. La squadra mobile di Cagliari non sa o per adesso non ha voluto dire dove l’indagato abbia trascorso la latitanza, di certo gli investigatori cercheranno di scoprirlo per capire chi l’abbia aiutato. Mesina era l’ultimo dei ricercati per le rapine ai blindati, dopo che il 18 marzo 2016 il sostituto procuratore della Dda Danilo Tronci aveva disposto il fermo di venti persone coinvolte con ruoli diversi nell’attività della banda capeggiata secondo le accuse dall’ex vicesindaco di Villagrande Strisaili Giovanni Olianas.
A leggere i provvedimenti firmati dal magistrato, Mesina non faceva parte del gruppo di comando: è accusato infatti di partecipazione ad associazione a delinquere per aver svolto un ruolo nel tentativo di rapina compiuto a Barbusi, vicino Carbonia, il primo dicembre del 2015. Insieme a Giovanni Olianas, Luca Arzu, Angelo Lostia, Salvatore Sanna, Sergio Arzu, Simone Balloi, Michele Cherchi e Carlo Olianas il nipote di Grazianeddu avrebbe preso in ostaggio minacciandoli con mitragliatori Ak 47, fucili e pistole tre dipendenti della ditta fratelli Locci e due passanti per poi usare un escavatore Komatsu e un pick-up Mazda custoditi nella cava di Barbusi. Con quei mezzi la banda aveva tentato di sbarrare la strada a un blindato carico di soldi, operazione fallita per un errore sui tempi: il mezzo portavalori era già passato. Per quel tentativo andato a vuoto Mesina deve rispondere anche di concorso in tentata rapina, rapina dei mezzi, detenzione di armi da guerra, sequestro di persona oltre che del furto aggravato di tre automobili prelevate a Oliena, Tortolì e Tonara usate con ogni probabilità per attività criminali. Una sfilza di reati certamente gravi, ma che non giustificavano la scelta di darsi alla latitanza. Arrestato da minorenne per la rapina a una banca di Nuoro e un furto messo a segno in un’azienda agricola, Antonello Mesina viene indicato dal capo della mobile cagliaritana Marco Basile come «figura apicale» della banda Olianas. Di certo - a leggere le ricostruzioni accusatorie dei fatti - è tutt’altro che un comprimario, per quanto le carte del procedimento gli attrubuiscano la partecipazione a un solo colpo andato male e la storia giudiziaria degli ultimi anni non abbia mai messo in risalto la sua presenza di altre vicende di criminalità. Basile ha confermato quando già si sapeva di lui: nessun contatto accertato con lo zio Graziano, cui lo lega il fatto di essere figlio di una sorella. Come se Antonello Mesina avesse seguito una strada tutta sua, entrando a far parte in un’occasione della banda Olianas forse per fare il colpo della vita.
La posizione processuale di Mesina è identica, sul piano formale, a quella degli altri trenta imputati: rinviato a giudizio in stato di contumacia su richiesta del pm Tronci, il giovane orgolese ha di fatto rinunciato sfuggendo all’arresto alle garanzie offerte dal codice di procesura penale e dovrà quindi affrontare direttamente il giudizio del tribunale.
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