La Nuova Sardegna

L’Istat e l’Italia che cambia: operai addio, ascensore sociale fermo

di Marianna Berti
L’Istat e l’Italia che cambia: operai addio, ascensore sociale fermo

Il Rapporto 2017: 3,6 milioni di famiglie sono senza reddito da lavoro. Sette under 35 su dieci vivono ancora in casa con mamma e papà

19 maggio 2017
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ROMA. Le disuguaglianze si moltiplicano e fanno esplodere le vecchie classi che contrapponevano borghesi e operai. Una visione andata in frantumi, non in grado di intercettare precari, stranieri o disoccupati. Stavolta a certificarlo è l'Istat, che quest'anno, nel consueto Rapporto sulla situazione del Paese, non ha solo fornito nuovi numeri ma anche una nuova mappa della società italiana. Prima le famiglie venivano incasellate in base alla professione, ma adesso l'operazione lascerebbe fuori metà popolazione, visto che ci sono milioni di case dove nessuno ha un impiego. Poi c'è sempre una fetta più ampia di persone che sono fuori dal mercato del lavoro perché ormai avanti con l'età. Un dato che cozza con il record negativo di nascite. Una società così diventa difficilmente scalabile. L'ascensore sociale si blocca e la crescita arranca. Ecco allora l'identikit del Paese tracciato dall'Istat.

Classe operaia e ceto medio, restano solo schegge. Viene meno «il senso di appartenenza a una data classe sociale e ciò è particolarmente vero per la classe media e la classe operaia». Oggi «la piccola borghesia» è sparsa in tanti rivoli e le tute blu hanno perso il loro «connotato univoco». Una crisi d'identità dovuta dalle «disuguaglianze sociali acuite dalla frammentazione e precarizzazione delle forme contrattuali».

Italiani popolo di pensionati e impiegati. L'Istat disegna nove gruppi sociali, non facendo più riferimento solo alla professione ma anche al reddito, al titolo di studio, alla cittadinanza. I più popolati sono le famiglie di impiegati (12,2 milioni di persone) e le famiglie degli operai in pensione (10,5 milioni). Seguono i giovani blue-collar coppie con lavori a bassa qualifica o precari.

Famiglie jobless, l’occupazione è un miraggio. Nel 2016 si contano circa 3 milioni 590 mila famiglie dove nessuno la mattina si alza e va a lavorare, dove non si può contare su redditi che abbiano origine da un impiego. D'altra parte «se si sommano i disoccupati e le forze di lavoro potenziali, le persone che vorrebbero lavorare ammontano a 6,4 milioni».

I mamma-boys non passano mai di moda. Quasi sette under35 su dieci vivono ancora nella famiglia di origine. Sono il 68,1%, pari a 8,6 milioni di giovani. Le difficoltà delle nuove generazioni a trovare un lavoro sembrano così alimentare la tradizione italiana dei cosiddetti “bamboccioni”. E nonostante qualche miglioramento, i Neet, giovani che non lavorano o studiano, sono 2,2 milioni. Una cifra che ci vede maglia nera in Unione europea.

Sovraccarico di lavoro per le donne tra casa e ufficio. Le casalinghe «con il loro lavoro producono beni e servizi per 49 ore a settimana». Guardando a quanti svolgono sia il lavoro retribuito che quello familiare, le donne superano le 57 ore, mentre gli uomini le 51. Tra casa e lavoro è evidente l'extra che grava su mogli, mamme e nonne.

Ascensore sociale inceppato. «Il 40% dei figli in famiglie con un livello d'istruzione basso non va oltre la licenza media, mentre poco più di uno su dieci riesce a ottenere un titolo universitario».

Ripresa non per tutti, ritmo insufficiente. «La ripresa, a causa dell'intensità insufficiente della crescita economica, stenta ad avere gli stessi effetti positivi diffusi all'intera popolazione». Parola del presidente dell'Istat, Giorgio Alleva.

Sempre più capelli grigi e culle vuote. La quota di over 65 anni o più ha raggiunto il 22%, collocando il nostro Paese al livello più alto in Ue.

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